Page 107 - Sbirritudine
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«Lei sa chi sono io?» chiese Pitafi. Aveva una voce stanca. Risposi
              che sapevo chi era e che cosa aveva fatto.

                 «Io»  fece  allora  lui  «sono  un  uomo  d'onore  della  famiglia
              Imposimato. Paola mi ha parlato bene di lei, dice che è uno che la testa

              non la piega. Dice che lei è uno sbirro di quelli che non si vendono. Ho
              controllato. Mi restano pochi amici, ma quelli che ho sono fidati. Lei ha
              una macchina scassata, neanche una lira in banca e una casa che per

              pagarla tutta dovrà lavorare pure da morto…» Lo fissai. Quella era la
              mia esatta situazione economica.

                 «Io il pane me lo guadagno. Non rubo, né faccio rubare» risposi. «Ci
              sono delle regole, e io le rispetto e le faccio rispettare.»

                 «È  quello  che  volevo  sentire»  concluse  Pitafi,  «anche  io  sono  un
              uomo di regole.» Paola ci chiese se volevamo qualcosa da bere: c'era
              rosolio e vino. Io dissi che ero a posto. Renzo chiese del rosolio. Pitafi

              si  bevve  due  bicchieri  di  vino  uno  in  fila  all'altro.  Si  stava  facendo
              coraggio. Buon segno.

                 «So  che  lei  se  l'è  vista  pietre  pietre  in  una  sparatoria»  mi  disse.
              Risposi  di  sì,  che  me  l'ero  vista  brutta.  «Questa  guerra»  continuò  lui
              «non finirà mai. I corleonesi non sono fatti per la pace. Sono come dei

              cani cresciuti a digiuno e bastonate. Sono bestie che sanno fare solo una
              cosa:  azzannare.  Io  e  la  mia  famiglia  abbiamo  perso  questa  guerra
              perché con i cani non si può ragionare. Noi siamo uomini.»

                 Paola si alzò e uscì dalla stanza. Lo capii senza bisogno di voltarmi
              perché sentii il suo profumo sollevarsi sopra di noi e poi dissolversi.

                 «Ma anche i cani di mànnara come i corleonesi hanno dei padroni»
              continuò Pitafi. «Perché non sopravvivrebbero da soli. Lei capisce che

              cosa voglio dire? Qualcuno ha addestrato quei cani e poi li ha liberati.
              Qualcuno ha deciso che tutte le altre famiglie dovevano essere mattàte
              come tonni e li ha scatenati. Viviamo in periodo di muta. Succede, a

              volte.»
                 «Quale muta?» chiesi.

                 «L'Italia sta facendo la muta. Deve cambiare pelle. Serve un nuovo
              paese, con nuovi politici e una nuova mafia. Voi poliziotti vi occupate

              di dare la caccia a noi e non vedete quello che succede veramente.»

                 «E perché dovrebbe cambiare pelle?» chiesi, poco convinto.
                 Lui  mi  sorrise  amaro.  «Ora  non  ci  sono  più  solo  gli  americani. A
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