Page 112 - Sbirritudine
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in queste cose l'istinto è tutto.

                 Io avevo naschiàto una pista; lasciai il commissariato e andai subito
              in cerca di Paola. La trovai che faceva  la sua corsetta quotidiana sul
              lungomare.  Correva  sul  bagnasciuga,  lasciando  una  scia  di  impronte

              nella sabbia. Da lontano mi fece cenno che mi aveva visto, ma che non
              poteva parlarmi. Rimasi come un cretino sul marciapiede. Poi dietro di
              me  vidi  spuntare,  con  la  coda  dell'occhio,  una  grossa  auto  scura.  Ne

              scese  un  uomo  sui  sessant'anni,  basso  e  grasso,  sudato  come  una
              spugna.  Aveva  un  mazzo  di  fiori  in  mano.  Si  sporse  anche  lui  dal
              marciapiede  sbracciandosi  per  attirare  l'attenzione  di  Paola.  Che
              coglione. Lei da lontano lo vide e gli corse incontro; io allora scesi in

              spiaggia e mi avviai verso un paio di pescatori che avevano piantato le
              canne  da  pesca  nella  sabbia  e  chiacchieravano  tranquilli. Agitavo  le
              braccia,  come  per  dimostrare  che  ci  conoscevamo.  Speravo  che  il

              ciccione mi vedesse, così Paola non avrebbe dovuto spiegargli chi ero:
              solo un tizio che da lontano sembrava salutare lei, e invece salutava i
              suoi amici pescatori. Mi riempii le scarpe di sabbia e santiài. Arrivato
              sul  bagnasciuga  mi  voltai:  il  grassone  ancora  mi  guardava.  I  due

              pescatori mi chiesero che minchia volessi e io li mandai a fanculo.

                 Con  Paola  ci  ritrovammo  di  pomeriggio  alla  solita  rosticceria.  Le
              chiesi di riferire a Pitafi che dovevo vederlo il prima possibile. Lei mi
              disse  di  non  muovermi  e  di  aspettarla  lì,  sarebbe  andata  da  lui
              immediatamente. Tornò dopo un'oretta e mi disse che Pitafi mi poteva

              vedere quella sera stessa a casa sua, alle undici. Dopo il turno sfrecciai
              di nuovo a Palermo, cambiai  agenzia di autonoleggio e presi un'altra
              macchina. Alle undici ero a Camico e stavo bussando alla villetta.

                 Stavolta Paola non c'era. Pitafi mi invitò a seguirlo al primo piano,
              nella stanza con il tavolo di plastica. Gli spiegai che il questore aveva

              bisogno di prove tangibili per dargli una mano con sua moglie. Pitafi
              non era convinto. Lui le prove ce le avrebbe date dopo. Io insistetti. Gli
              dissi che fino a prova contraria lui restava un mafioso, e a noi serviva

              quella prova contraria.
                 «Mi giuri che se vi do quello che volete parti immediatamente per

              Belgrado?» La sua voce era incerta. Quello era il momento in cui stava
              davvero  saltando  il  fosso.  Eravamo  soli,  io  e  lui.  E  lui  stava  per
              rinnegare quello che era sempre stato.

                 Glielo giurai. Lui si alzò, prese da terra una bottiglia di vino e tolse il
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