Page 115 - Sbirritudine
P. 115

l'interno.  Chiamai  il  magistrato,  ma  mentre  stavo  parlando  Renzo  mi
              afferrò  per  un  braccio.  Guardai  dentro  il  binocolo:  Pitafi  percorse  il

              vialetto di ingresso con la bici al fianco, mise il cavalletto ed entrò in
              casa. Imposimato guardò a destra e a sinistra, poi chiuse la porta. Ma
              che  cazzo  stava  succedendo?  Lo  pensammo  tutti  nello  stesso  istante.
              Passarono  cinque  minuti.  Pitafi  era  ancora  dentro  la  villetta.  Il  mio

              telefono prese a squillare: era il  magistrato. Riagganciai. Altri cinque
              minuti.

                 «Picciotti, siamo messi male» disse Renzo.

                 «Calma»  gli  risposi.  «Altri  cinque  minuti.  Se  non  succede  niente
              facciamo irruzione noi.» Controllai la pistola. Gli altri mi guardarono
              spaventati.  Poi,  la  porta  di  ingresso  si  aprì  e  Pitafi  uscì  sul  vialetto

              d'ingresso.  Inforcò  la  bici,  riprese  a  pedalare  con  calma  e  raggiunse
              Arancina, che infilò la bicicletta nel portabagagli e partì a razzo. Pitafi
              mi  raccontò  dopo  che  Imposimato  lo  aveva  riconosciuto  e  gli  aveva
              chiesto  di  entrare  per  un  caffè.  Lui  aveva  rifiutato,  ma  quello  aveva

              insistito.  Una  volta  dentro,  Imposimato  gli  aveva  raccontato  che  era
              andata  via  la  luce,  che  stava  uscendo  per  dare  una  controllata  al
              contatore, ma che per fortuna era tornata. Avevano parlato del più e del

              meno  e  Pitafi  aveva  detto  che  per  lui,  anche  se  in  pratica  era  stato
              canziàto,  andava  bene  così.  Imposimato  gli  aveva  detto  che  avrebbe
              messo una parolina con chi di dovere e che tutto si sarebbe sistemato.

                 In  commissariato,  la  Patania  si  coordinò  con  il  questore  per
              aggiornare il magistrato. In capo a un paio d'ore ricevemmo il via libera

              per la cattura: quella sera stessa, a mezzanotte. Numerosi uomini della
              sezione catturandi della squadra mobile di Palermo ci raggiunsero alle
              undici di sera a una decina di chilometri da Prezia, per evitare che in
              paese  si  vedesse  troppo  movimento.  Indossammo  tutti  il  mefisto  e

              raggiungemmo  il  vigneto  a  piedi,  tenendoci  bassi  e  facendo  meno
              rumore possibile. In pochi minuti avevamo circondato la casa. Io avevo
              la  mia pistola, quelli della  catturandi i fucili a pompa. L'uomo ariete

              scivolò fino all'ingresso; dietro di lui, un collega era pronto a lanciare
              dei fumogeni in casa per disorientare Imposimato.

                 A mezzanotte e tre minuti, l'ariete sfondò la porta. Il collega dietro
              lanciò  i  fumogeni  e  un  altro  gridò:  «Polizia,  mani  in  alto!  Luciano
              Imposimato, ti dichiaro in arresto. Sei circondato, rimani immobile o

              spariamo!». Da che dormiva, il latitante si ritrovò ammanettato, con gli
   110   111   112   113   114   115   116   117   118   119   120