Page 119 - Sbirritudine
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comune.»
«Chi?» mi chiese.
«Saro. Mi manda Saro.» I suoi occhi si inumidirono.
«Che gli è successo?» Ancora le importava di lui. Capii che avrei
potuto convincerla.
La invitai a bere qualcosa in un posto tranquillo. Lei mi guidò fino a
un bar affollatissimo, dove per consumare si doveva stare in piedi. Lì
nessuno avrebbe potuto vederci. Eravamo così pressati dalla folla che ci
dividevano pochi centimetri. Era bella, ed era imprevedibile. Le dissi
che Saro stava bene. Le mostrai velocemente il mio tesserino e vidi la
rapacità con cui lesse tutto quello che c'era scritto. Corpo di Polizia di
appartenenza, qualifica, nome. Era una donna di mafia: sul suo viso
apparve quell'istintiva espressione di disgusto che i mafiosi hanno
quando si trovano davanti uno come me. Non ci feci caso. Le dissi che
Saro era uscito di galera e che aveva riflettuto molto sul futuro. Sul
proprio e su quello di lei.
«Sul mio futuro?» Smise di guardarmi negli occhi, la stavo perdendo.
«Saro ha fatto quello che ha fatto, proprio come te. Ognuno è quello
che è e che la vita sceglie che sia. Anch'io mi sono lasciato con mia
moglie. Come è dura per voi scappare, è dura per noi darvi la caccia.
Ma c'è un modo per far finire questa corsa.»
«E qual è?» Ora avevo di nuovo la sua attenzione.
«Saro vuole saltare il fosso e chiudere con il passato. Ma solo se tu
sarai con lui.»
«Che significa?»
«Che da te dipende il futuro di Saro, tuo e dei tuoi figli.»
Lei abbassò gli occhi. «A loro ci pensa mio fratello.»
«Lo sappiamo» le dissi, «ma crescono senza un padre e una madre.»
«Ho dovuto farlo» rispose. «Loro sono puliti. Per questo li ho dati a
mio fratello, perché anche lui è pulito. A me invece quelli mi stavano
addosso. Ero la donna di Pitafi, dovevo fare da tramite. Mi
domandavano favori. Sono arrivati pure a minacciarmi. Allora ho
deciso di andarmene, ho chiuso con tutto. Era l'unico modo per fare
capire che non ero ricattabile. Ho abbandonato i miei figli così non
potevano portarmeli via. Volevo che pensassero che non me ne