Page 123 - Sbirritudine
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All'arrivo all'aeroporto di Catania, Caterina si era tramutàta in un
attimo, come a volte faceva mia moglie. Durante il volo era stata felice,
ora no. Saro era davanti a lei, non si vedevano da dieci anni. Lei era
scappata dal nuovo compagno per Saro, eppure lo guardava come se
volesse rimproverarlo. All'inizio non capivo perché, poi guardai oltre:
dietro Saro c'erano i loro figli che babbiàvano con due colleghi al bar.
Lei li fissava, e fissava suo marito, dimagrito e stanco, pure lui
circondato da poliziotti. Si voltò e vide me, un altro poliziotto. La loro
vita ora sarebbe stata questa. Prima uomini d'onore dappertutto. Ora
sbirri dappertutto. Aveva mille motivi per essere incazzata. Si avvicinò
a Saro. Lui era imbarazzato. Lei gli accarezzò il viso. Lui le prese la
mano. Basta. Niente baci o abbracci. Io avrei fatto lo stesso, nella loro
situazione. Poi arrivarono i loro ragazzi, e lei si sciolse un po'. Stava per
diventare una scena normale, marito, moglie e figli all'aeroporto, ma ci
dovevamo muovere. Non erano persone normali.
Partimmo per Palermo. Pitafi confermò al questore la sua volontà di
pentirsi e noi fummo congedati. Il questore mi prese a parte e mi disse
che avevo condotto l'operazione in maniera egregia, ma ora toccava ad
altri continuare il lavoro. Andai da Saro e gli strinsi la mano.
«Grazie» mi disse.
«Continua così» gli risposi. Caterina non guardava nessuno negli
occhi. Era stata cresciuta così, lo Stato era merda per lei. Ma si sarebbe
abituata.
Con Cripto e Tacconi tornammo in commissariato a Prezia. La
Patania ci chiese se volevamo un giorno o due per staccare. Io avevo
paura di tornare a casa. Presi un giorno. Andai a Bonifacio e chiamai
mia moglie. Le dissi che ero al mare, in spiaggia. La stessa dove
stavamo da ragazzi. Lei arrivò dopo un'ora. Si era truccata, aveva un
vestito che le stava benissimo. Mi disse che nostro figlio era da sua
madre. Le risposi che era bella. Lei iniziò a piangere. Solo in quel
momento capii: non si era cunsàta per me, non voleva fare la pace. Era
lì per lasciarmi. Voleva il divorzio.
Lei vide che avevo capito. «Non ce la faccio più» mi sussurrò.
Volevo dirle di aspettare. Volevo dirle che stava sbagliando. Volevo
dirle che la amavo. Ma non pronunciai nessuna parola. Dovevo avere
una faccia terribile, perché subito smise di piangere.