Page 125 - Sbirritudine
P. 125
E di nuovo lei fu sul punto di dirlo: voglio il divorzio, ti voglio
lasciare, non ti amo più. Stava per dirlo. Sentivo il mare dietro di me.
Adesso lo dice, pensai. Ora ricorderò anche questo momento, quando
mi ha chiesto il divorzio, come mi ricordo il primo bacio che ci siamo
dati e la prima volta che abbiamo fatto l'amore, quando le ho chiesto di
sposarmi e quando mi ha detto che era incinta. Ed era di nuovo su una
spiaggia che succedeva. Ora me lo dice, pensai, ora me lo dice e io non
posso farci niente.
E invece non lo disse: aveva capito che non poteva comprendermi
fino in fondo. Come io non potevo comprendere lei. Ci potevamo
amare, però. Anche se eravamo troppo diversi e nessuno dei due
sarebbe riuscito a cambiare l'altro. Io ero così. Mi abbracciò. La strinsi
più forte che potevo e lei appoggiò l'orecchio al mio petto.
«Da quanto non te lo sento battere» bisbigliò. Poi ci togliemmo le
scarpe e camminammo sul bagnasciuga a piedi nudi, con il mare che ci
afferrava alle caviglie, fino al tramonto.
L'indomani mi alzai presto e lei non disse nulla. Mi preparò il caffè,
mi prese per mano e mi portò dal piccolo. Mi diede un bacio. Capii
cosa voleva farmi capire. Svegliarsi insieme la mattina, bere il caffè
insieme, guardare insieme nostro figlio che dormiva: quella era la
normalità.
Al commissariato trovai Renzo che sembrava invecchiato di un paio
d'anni. Gli chiesi di dirmi se avesse problemi. «Io non ho problemi» mi
assicurò. Ricominciammo il lavoro sulle strade. Pitafi era stato portato
a Burgisi, fuori Palermo, all'interno di una struttura della Polizia di
Stato. Ci restò per venti giorni. E svuotò il sacco: parlò degli omicidi
irrisolti e inguaiò quello che restava della sua famiglia mafiosa.
Lo andai a trovare, un giorno, e vidi che viveva come un animale in
gabbia. Né lui né la sua famiglia potevano uscire di lì, mi disse che si
sentiva tornato in prigione e che in più ci aveva fatto finire tutta la sua
famiglia. La moglie era sul punto di scoppiare, mi confidò.
«È una donna forte» lo tranquillizzai.
Restò zitto per un po'. «So che eri amico di Dino Castrense.» Me lo
disse così, come se fosse una vecchia conoscenza che entrambi non
vedevamo da tanto tempo. E invece Dino era stato forse il mio unico
vero amico. Lo avevano massacrato.
«Che sai di lui?» gli chiesi.