Page 127 - Sbirritudine
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Io e Cripto fummo prelevati a Prezia da alcuni colleghi, che ci
portarono a Burgisi da Saro. Con lui e la sua famiglia raggiungemmo
un eliporto nelle vicinanze. Poi volammo fino all'aeroporto di Palermo,
e da lì in aereo fino a Firenze. Io e Cripto noleggiammo un minivan e
guidammo fino a Castelmonte, un paesino scògnito di meno di duemila
anime. Una piccola villetta appena al di fuori del centro abitato, nessun
vicino. Stabilimmo cosa rispondere a eventuali domande dei paesani: io
e Cripto eravamo i fratelli di Caterina venuti lì a dare una mano per il
trasloco. Ci mettemmo in contatto con la stazione di Polizia più vicina,
che ci inviò dei colleghi per iniziare i turni di sorveglianza. Con Saro
andavamo a fare la spesa. Cercavamo di apparire come cognati siciliani
affabili, ma un po' a disagio. Lui diceva di essere un grafico che
lavorava da casa e la gente non fece caso a noi più di tanto. Solo una
volta, dal fruttivendolo, un cliente iniziò a fare battute pesanti sui suoi
pantaloni a quadretti e Saro stava per colpirlo. Gli spiegai che i toscani
erano così, era il loro modo di scherzare. Non doveva prendersela. Ci
sarebbe rimasto per molto tempo, a Castelmonte, forse anni: voleva
incasinarsi la vita? Era difficile per lui. Era un boss abituato a
comandare perfino in carcere; ora andava a comprare pere e banane e lo
sfottevano. Caterina passava parecchio tempo con i figli. Con molta
pazienza era riuscita a ricucire il rapporto con loro. Non li forzava,
sapeva aspettare il momento giusto. Ogni volta che restava sola,
correva in giardino a piantare, insitàre e innaffiare piante. Si dava da
fare per tenere la mente impegnata. Saro, invece, stava tutto il giorno a
tampasiàre o al massimo leggeva i giornali e sbuffava. Lui con i suoi
figli non parlava e nemmeno ci provava. Era come un'auto spenta, una
macchina che non avrebbe corso mai più.
Una notte, dopo una decina di giorni che eravamo lì, Saro scese a
pianterreno. Io stavo provando ad addormentarmi davanti alla tv. Mi
disse che aveva bisogno di una boccata d'aria. Uscii con lui in giardino,
per precauzione. Restammo in silenzio. Il cielo era coperto.
«Ho violato il mio codice» disse a un certo punto.
«Quale?» gli chiesi.
«Il codice dell'omertà. Voialtri non potete capire, ma è il peggior
tradimento che ci sia per un uomo d'onore. L'omertà per noi è essere
uomo. È la dignità stessa.»
«Sei stato tu a dirmi che a queste regole dentro Cosa Nostra non ci