Page 124 - Sbirritudine
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«Io non so più niente di te» mi rimproverò. «Non so più chi sei. Non
              so che fai. Io cresco un figlio da sola. Passo le giornate da sola, sono

              come una vedova.» Pensai a Pitafi. Lui aveva di nuovo la sua famiglia e
              l'intero  corpo  di  Polizia  si  dedicava  a  farlo  stare  bene.  Gli  avevo
              recuperato la moglie in capo al mondo, e non riuscivo a tenermi la mia.

                 «Tu  mi  dai  per  scontata. Tu  dai  per  scontato  che  io  stia  a  casa  ad
              aspettarti mentre credi di salvare il mondo. Ma il mondo non lo puoi

              salvare. Tu devi pensare a noi.»
                 «Io penso a voi!» le gridai. «Ma non posso far crescere mio figlio in

              questo schifo!»
                 «Lo  schifo  lo  vuoi  vedere  tu»  mi  rispose.  Mi  indicò  Bonifacio,

              lontano dietro di noi. «Lì c'è lo schifo. Ma io sono qua. Tu guardi lì e
              non guardi me. Noi siamo qua e lo schifo è là.» Mi prese le mani e se le
              mise sulle spalle. «Stringimi» sussurrò. «Non lo fai mai. Ho bisogno di

              te. Io ne ho più bisogno di Bonifacio, di Prezia e di tutti quelli che credi
              di proteggere.»

                 Mi rivelò che perfino sua madre non capiva perché mi intestardissi
              tanto a poliziottare dalla mattina alla sera. Non lo capivano i parenti, i
              vicini, i compaesani. Lei aveva sentito voci su di me. Aveva sentito che

              ero uno con la testa dura, uno che non si fa i fatti suoi. Mi disse che
              aveva  paura  che  una  sera  non  tornassi  più  a  casa.  Che  preferiva
              chiudere con me dicendomelo in faccia che gridarmelo attraverso una

              bara.  Dovevo  smetterla  di  fare  sempre  più  degli  altri. A  chi  dovevo
              dimostrare cosa? Replicai che io dovevo farlo, che non potevo lasciar
              perdere.

                 «Perché?» mi chiese.

                 «Perché  io  non  mi  giro  dall'altra  parte.  Perché  io  non  abbasso  gli
              occhi davanti a nessuno» le risposi. «Perché io sono un uomo. Io faccio
              quello che faccio  perché sono un uomo.  Loro si  sentono forti,  ma io

              sono più forte di loro. Loro si sentono uomini. Ma io sono più uomo di
              loro. Loro si sentono nel giusto, ma io sono nel giusto. Ti sembro un
              pazzo. Ma non è così. Io non ho paura di una pistola puntata contro.

              Non  ho  paura  delle  parole  della  gente.  Non  ho  paura  di  quelli  che
              tramano  alle  mie  spalle.  Non  lo  capisci?  E  invece  tu  mi  chiedi  di
              cominciare ad avere paura, mi chiedi di temere le parole, le pistole e gli
              ammuìni. No. Sono loro che devono avere paura di me, perché io non

              sono come loro. Non sarò mai come loro.»
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