Page 118 - Sbirritudine
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dieci. Ma a turno nessuno di noi perdeva di vista l'ingresso della villa.
Un paio di volte vedemmo la potente berlina nera di Nikolic, guidata
dalla sua guardia del corpo, che entrava e usciva. Ma di Caterina
neanche l'ombra.
Il primo giorno passò così. Mezzi ubriachi, tornammo in albergo. La
notte era inutile sorvegliare la casa perché, se anche Caterina fosse
uscita, avvicinarla sarebbe stato pericoloso per lei e per noi. Dovevamo
agganciarla di giorno. Al mercato, dove andava a fare la spesa. Così
nessuno ci avrebbe notato.
La notte dormii male. Ogni giorno che passava era un rischio per
Pitafi e per noi: dopo la cattura di Imposimato, chi doveva capire aveva
capito. E se avevano stabilito che l'infame era Pitafi, non ci avrebbero
messo molto a realizzare che la moglie poteva essere la causa del suo
tradimento. Cosa Nostra aveva molti referenti in Serbia. Traffico di
droga, armi e auto. Se i padrini avessero chiesto un favore, non c'era
Nikolic che potesse tenere: Caterina sarebbe stata messa sul primo volo
per Palermo, dove l'avrebbero scotennata. E questo era un altro
argomento che avrei potuto usare per convincerla.
L'indomani stazionammo a turno al bar, per non insospettire troppo i
clienti abituali e il proprietario. Dei turisti devono andare in giro a fare i
turisti, ogni tanto. Il pomeriggio toccava a Cripto. Si scolò due birre e
quando ci chiamò era brillo: Caterina era uscita dalla villa con la sua
utilitaria. Tacconi l'aspettava nel parcheggio del mercato. La vide e mi
chiamò. Io mi piazzai dalle parti di un salumiere che vendeva affettati
italiani. Nikolic amava la cucina italiana e Caterina si riforniva lì. La
intercettai prima che si avvicinasse al bancone. Era diversa dalle foto
che ci aveva dato Pitafi. In quelle aveva i capelli lunghi, gli occhi neri e
profondi, le labbra carnose e una bellezza selvaggia. Erano foto di
quando aveva meno di trent'anni. Ora ne aveva quaranta. Si era fatta
donna. La sua bellezza era più addomesticata. Era alta, fiera e, anche se
provava a nasconderlo, molto femminile. Non sculettava, ma a ogni
passo muoveva le anche quel poco che bastava per pensare che ti
promettesse mari e monti. Mi avvicinai mentre i venditori ambulanti
urlavano in serbo per cercare di attirare i clienti. Le sorrisi. Lei mi
guardò dura. Le dissi: «Ciao, Caterina», in italiano. Lei indietreggiò e si
guardò le spalle: l'istinto mafioso. Mi aveva preso per un sicario.
«Tranquilla» le dissi. «Sono qui perché mi manda un amico