Page 90 - Sbirritudine
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nuova auto: una LamborFiat. Misi la freccia a sinistra e partii
all'inseguimento del testa di cazzo che mi aveva tagliato la strada.
Iniziai a lampeggiargli. Ma quello se ne fotteva, tirava dritto. Andava
forte, ma io quelle strade le conoscevo bene. Sapevo che dopo poco si
sarebbe ritrovato davanti a una curva a gomito. Rallentai. Poi sentii il
botto. Era finito contro il muro di recinzione del fondo del barone
Tumminello.
Lo raggiunsi, scesi dall'auto e gridai: «Fermo, Polizia!». Niente. Poi
quello cercò di far ripartire l'auto. Estrassi la pistola e gli intimai di
scendere. Finalmente aprì il finestrino. Era ubriaco cotto. Aveva gli
occhi incrociati. La mia soddisfazione l'avevo avuta: lui non aveva
rispettato lo STOP rischiando di ammazzarmi, e ora la sua auto era da
rifare. Mi ripetevo che ero stanco, che dovevo tornarmene a casa e
lasciarlo perdere. Ma quello mi mandò affanculo e mi disse che era il
nipote dell'assessore Calafiore. Gli chiesi patente e libretto. Ora mi
aveva fatto girare i coglioni. Solo quando accese la luce interna e si
mise a rovistare nel cruscotto mi accorsi di lei. Cosce inguainate in
calze velate. Tacchi che ci volevano le scale per salirci sopra. Gonna
cortissima. Braccia scoperte inanellate di bracciali che tintinnavano e
minne a punta. Era bellissima. Aveva quegli occhi che confondono, che
non riesci a ricordare di che colore sono perché sembrano averli tutti.
«Ci scusi, ma non potrebbe lasciar perdere per stavolta? È tardi e il
mio amico mi stava giusto riaccompagnando a casa. Sono davvero
stanca.» Parlava in un modo che sembrava stesse cantando. Che
femmina. Era femmina due volte. La ignorai: era l'unica arma che
potevo usare contro di lei. Se avessi risposto qualunque cosa mi
avrebbe avuto in pugno.
Domandai di nuovo i documenti al nipote di Calafiore. Quello aveva
trovato il libretto, ma gli cascava continuamente dalle mani. Si chinava
tra le cosce della donna, lo raccoglieva e gli cadeva di nuovo. Che testa
di minchia. Lei, intanto, mi fissava. Anzi, mi sfidava. Io aprii lo
sportello e feci scendere il tizio. Lo scortai fino alla mia auto, lo misi
sul sedile del passeggero, mi sistemai dal lato guida e avviai il motore.
La donna scese dalla sua auto e corse verso di noi. Urlava che non la
potevo lasciare lì e che ero uno stronzo. La guardai diventare
microscopica sullo specchietto retrovisore. Il nipotino, accanto a me,
ronfava della bella.