Page 87 - Sbirritudine
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l'organigramma dell'organizzazione. C'erano nomi grossi. Latitanti. Un
paio di politici di medio calibro. E, purtroppo, i carabinieri Rizzitelli e
Patalèo. C'erano dentro con tutte le scarpe: aiutavano l'organizzazione
con soffiate sui controlli e addirittura gestendo i trasporti. Casimiro
Spedale parlava di loro con rispetto, quasi come se fossero gente di
Cosa Nostra. Erano uomini fidati della mala, non dell'arma. Eravamo
sconcertati.
Al terzo giorno ricevemmo la telefonata del magistrato. Ci convocava
insieme al nostro dirigente. L'indomani io, Renzo e Bosco entrammo
nel suo ufficio e lo trovammo seduto a chiacchierare con un maggiore
dei Carabinieri. Ci restai male. La testa mi firriò a tremila. Il maggiore,
alto, muscoloso, con la divisa che gli faceva da muta per immersioni
per quanto gli stava attillata, non mi degnò di uno sguardo. Salutò
Bosco e poi tornò a voltarsi verso il magistrato. Che ci faceva lì? Venne
fuori che anche i Carabinieri stavano indagando sulla stessa
organizzazione in cui ero incappato io. Indagavano da sei mesi senza
esserne venuti a capo e noi, in pochi giorni, eravamo arrivati ad avere
un quadro completo. A fine partita noi avevamo in mano i carichi
pesanti e loro solo scartine.
Il magistrato lodò il lavoro di tutti e poi ci invitò a cooperare:
avremmo potuto coordinare le indagini e aggiornarci a vicenda. Io
fremevo. Ma anche il maggiore aveva i nervi tesi. Si vergognava, forse.
Non era stato all'altezza e ci era rimasto male. Oppure aspettava una
promozione e ora gli era sfuggita. Intanto, Bosco calava la testa come al
solito. Era tutto un “sì dottore, ma certo dottore”. Ma vaffanculo. Poi il
maggiore si mise a sbraitare. Così, all'improvviso. Si alzò in piedi, mi
puntò un dito contro e iniziò ad accusarmi di aver usato metodi
investigativi discutibili: come era possibile che io avessi ottenuto tutte
quelle informazioni? Chi ero io? Ero sospettabile? Me la facevo con
qualcuno di Cosa Nostra? Io ero senza parole. Guardai il giudice e
allargai le braccia. Non sapevo che dire. Mi accusavano di essere un
mafioso. Bosco calava la testa. Gliel'avrei fatta saltare. Respirai a
fondo, poi dissi al maggiore che l'avrei messo a parte dei miei metodi
quando voleva. Poteva venire a farsi il culo con me a ogni ora del
giorno e della notte. Comunque, sarei stato lieto di coordinarmi con lui,
visto che avrei indagato sui due suoi colleghi carabinieri infedeli, due
mele marce che andavano annientate. Il maggiore si piazzò a pochi
centimetri dal mio naso. Sentivo il suo respiro. Capii che era incazzato.