Page 81 - Sbirritudine
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«E  per  che  cosa?»  gridai.  «Perché  faccio  il  mio  dovere?»  Lui
              indietreggiò e si mise dietro una scrivania. Io la sollevai e la scaraventai

              sui dolci e le bevande che aveva portato il neopapà. Urlai, come non
              avevo  fatto  mai.  «Nelle  motivazioni  del  provvedimento  disciplinare
              mettici questo: che mi hai rotto i coglioni!»

                 Poi me ne andai sbattendo la porta. Era successo.

                 Bagheria.  Supero  lo  svincolo.  Ho  bisogno  di  correre,  tocco  i
              centosessanta.  L'autostrada  è  dritta  e  liscia,  mi  sembra  di  scivolare.
              Adesso arrivano i viadotti. Lo so, ma non rallento finché non raggiungo

              un cavalcavia. Il vento preme forte contro la macchina. Stringo le mani
              sul volante. La tengo.

                 Non  ci  sono  altre  auto.  Non  ci  sono  aree  di  sosta.  Non  ci  sono
              distributori. In Sicilia, per fare rifornimento devi uscire dall'autostrada
              ed  entrare  in  un  paese.  È  stato  fatto  apposta.  Così  le  sentinelle  ai

              distributori sanno chi sta viaggiando. È il tributo che dobbiamo pagare:
              poche autostrade, fatte male. Poche strade in generale. Un solo binario
              che collega le città più importanti, così i treni ci mettono una vita. Non

              ci sono strade e ferrovie perché in questo modo è più facile controllare
              il territorio ed evitare che la gente si muova, impari, colleghi, capisca.
              Tutto  deve  restare  isolato,  paralizzato  e  dimenticato.  Questo  è  il
              controllo. È così che funzionano i regimi: controllo assoluto.





                 Andai  dal  questore.  Non  sapevo  cosa  gli  avrei  detto.  Volevo
              licenziarmi.  Anzi  no,  volevo  denunciare  il  dirigente.  Mille  idee  e
              discorsi  mi  si  sguazzariàvano  nel  cervello.  Ero  incazzato  fradicio.

              Quando  mi  sedetti  nel  suo  ufficio,  mi  accorsi  di  tremare.  Il  questore
              ascoltò  il  mio  sfogo.  Poi  mi  mostrò  quattro  riservate  che  Bosco  gli
              aveva  inoltrato  sul  mio  conto.  Insinuava  che  ero  un  sobillatore.  Che

              creavo casino. Che con me non si poteva lavorare. A quel punto pensai
              che Bosco era meglio se lo fracchiàvo di botte. Ma fu un lampo, passò
              subito.

                 Il  questore  mi  promise  che  avrebbe  fatto  quanto  in  suo  potere  per
              sistemare  le  cose.  Lodò  il  mio  lavoro.  Mi  disse  che  ci  volevano  più

              poliziotti come me. Mi rivelò che si parlava di quanto stavo facendo a
              Prezia a vari livelli e che dovevo continuare così. Mi assicurò che se
              avevo  bisogno  di  integrare  la  squadra  investigativa  avrebbe  fatto
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