Page 71 - Sbirritudine
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Dopo  lo  scontro  con  Bosco,  dal  momento  che  ero  diventato  un
              sottufficiale la squadra investigativa divenne una cosa a sé. Era quello

              che volevo. Nel frattempo, a Prezia era scoppiata una guerra di mafia:
              in apparenza l'autorità di Fifi Bellingeri era stata messa in discussione. I
              corleonesi  erano  maestri  nella  gestione  del  potere.  Sapevano  che  la
              tranquillità  aiuta  gli  affari,  ma  sapevano  anche  che  prima  o  poi  un

              casino  sarebbe  scoppiato  comunque.  Quindi  ogni  tanto  facevano  in
              modo  di  provocarlo  loro,  così  lo  potevano  gestire.  Era  come  un
              incendio  controllato.  Serviva  a  bruciare  l'erba  secca  per  scovare

              eventuali malanimi tra gli uomini d'onore ed evitare disastri. Bellingeri
              era corleonese fino al midollo. Per la sua crudeltà estrema a volte mi
              veniva  da  pensare  che  erano  i  corleonesi  ad  assomigliare  a  lui.  E
              nell'arte del tragediàre il boss era un vero maestro. Scatenava battaglie

              accusando gli altri di averle provocate per il piacere di mettere pace e
              riaffermare  la  sua  autorità.  Scatenava  tempeste  e  poi  faceva  spuntare
              all'improvviso il sole e tutti rimanevano alluppiàti perché non capivano

              che stava succedendo. Ma le guerre di mafia sono anche un'occasione
              per gli sbirri seri che non guardano dall'altra parte: dovunque ti giri vedi
              cadaveri. E in queste guerre i cadaveri sono indizi.

                 Dissi  a  Renzo  e  Paco  che  dovevamo  stare  tranquilli,  dovevamo
              ripartire  dalle  strade.  Stringere  di  nuovo  d'assedio  lo  spaccio.  In  sei

              mesi  era cambiato tutto e noi dovevamo ripartire da zero. Bisognava
              buttare di nuovo la rete a mare per catturare nuovi informatori. Da poco
              in commissariato era arrivato uno nuovo. Sveglio, capace e con le palle.

              Aveva un unico difetto: parlava a raffica e non si capiva niente di quello
              che  diceva.  Gli  affibbiammo  il  soprannome  “Cripto”,  perché  dovevi
              decrittare quello che voleva dire. Era sposato da poco e la moglie era

              già incinta. Mi fece subito simpatia. Quindi anche lui entrò nel gruppo
              ristretto della squadra.

                 Dopo  molte  nottate  in  strada  e  una  serie  di  arresti,  venne  fuori  la
              notizia di una piantagione di marijuana bella grossa. Ci mettemmo in
              macchina io, Renzo e Cripto e ci dirigemmo fuori Prezia per verificare.

              Superata la distesa di campagna pianeggiante, iniziammo a inerpicarci
              in  auto  lungo  una  mulattiera  che  attraversava  una  collina  come  una
              cicatrice. Dopo un'ora di viaggio nel nulla, della piantagione neanche
              l'ombra. E in più scoppiò un temporale. Non si vedeva niente: le nuvole

              erano  così  basse  e  cariche  che  pareva  notte.  Neanche  la  luce  degli
              abbaglianti riusciva ad attraversare la pioggia, a ogni curva rischiavamo
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