Page 66 - Sbirritudine
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citofono, una cameriera in livrea bianconera, ci accolse alla porta e ci
              fece accomodare nel salone/campo da calcetto. E finalmente l'assessore

              in persona si degnò di presentarsi in giacca da camera rossa, pantofole
              in tinta e sigaretta con bocchino. Pareva la caricatura di un ricchione dei
              film di Franco e Ciccio. Che testa di cazzo.

                 Calafiore  aveva  fatto  carriera  grazie  al  padre  che  era  politico  e
              assessore  come  lui.  In  Sicilia  le  cariche  sono  ereditarie  come  nel

              Medioevo. La politica è un'arte di equilibrismo complicato e mortale:
              una volta che viene raggiunto un bilanciamento, si fa di tutto perché
              tutto  resti  com'è.  Se  muore  un  padre  si  mette  un  figlio  al  suo  posto,
              altrimenti  si  rischia  che  tutta  l'impalcatura  crolli.  Calafiore,  però,  era

              uno di quei pochi figli capaci di superare padri importanti. Era furbo,
              tenace, attento, intelligente, colto e rapace. Un vero politico di razza.
              Era assessore regionale per via di uno di quei complicati accordi tra la

              politica  romana  e  quella  siciliana:  doveva  fare  un  turno  qui  e  poi
              avrebbe  spiccato  il  salto  definitivo.  Si  diceva  di  lui  che  sarebbe
              diventato ministro.

                 Io, di tutto questo, me ne sbattevo la minchia. Si era fottuto due ville
              e basta.

                 Mi pregò di accomodarmi, ignorando apposta il fatto che io mi  ero
              già seduto prima che arrivasse. Voleva solo dettare le regole del gioco.

              Lo  informai  degli  accertamenti  che  stavamo  conducendo  e  gli  chiesi
              come mai lui avesse ottenuto le due abitazioni a scapito di chi davvero
              le meritava. Lui sorrise, si sedette di fronte a me, snobbando Renzo, si

              sistemò la giacca e spense la sigaretta in un portacenere. Non rispose.
              Bene. Capii di essere in vantaggio e attaccai: «Sa che la ditta che ha
              eseguito i lavori di costruzione appartiene a Nino Cocalo? Perché nel
              consiglio  del Villaggio Sole ci sono i nomi più importanti di Prezia?

              Come è possibile che lei abbia tre ville?».

                 Era all'angolo. Poi, però, iniziò a parlare e capii che all'angolo c'ero
              io, fin da quando ero entrato in quella casa.

                 «Lei  non  crede  di  perdere  tempo?»  mi  chiese.  «Non  crede  che
              dovrebbe essere in strada a garantire la sicurezza dei cittadini di Prezia?
              Ciò che ho fatto, ciò che gli altri miei soci hanno fatto, è al limite della

              legalità, ma sempre legale è. Lei» mi disse «ragiona come i muli che se
              si  trovano  davanti  un  muro  imprevisto  restano  lì  fermi  a  sbatterci  la
              testa, senza capire che  ci si potrebbe girare intorno.  Lei  appartiene  a
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