Page 60 - Sbirritudine
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filtro dell'aria che avevo buttato via.




                 Riavvio  il  motore.  Mi  lascio  alle  spalle  il  mio  pezzo  di  Palermo

              strappato ai tre ragazzini e mi immetto in via Roma. Passo davanti alla
              chiesa di San Domenico, giro a sinistra verso via Maqueda. I quattro
              canti, il centro esatto della città vecchia con le sue fontane assiderate.

                 Un  lampeggiante  percuote  l'aria.  Verso  la  cattedrale.  Un  posto  di
              blocco. Dio quanti ne ho fatti.





                 Quando convinsi Renzo, Paco e Pippo ad allargare il nostro raggio
              d'azione anche ai paesi vicini, scoppiò un putiferio.

                 Un  giorno  fermai  un  sorvegliato  speciale  con  obbligo  di  dimora  a
              Prezia. Era in sella a una moto di grossa cilindrata. E non era a Prezia.
              In linea d'aria eravamo a due chilometri dal confine territoriale.

                 Con  in  mano  i  documenti  pure  scaduti,  quello  ci  propinò  tutta  la
              tiritera. «Ma ve la prendete sempre con gli stessi? Ormai ho messo la

              testa a posto. Possibile mai che mi fermate per così poco? Andiamoci a
              prendere un caffè e non se ne parla più…» Ma più quello parlava e più
              m'insospettiva. Non faceva che guardare indietro. A quel punto notai, a

              un paio di centinaia di metri, un'auto che sembrava in attesa. Ero sicuro
              che quello stava per combinare qualcosa.

                 Mi incaponii e lo portai in commissariato, dove Bosco fece il diavolo
              a quattro. E nicchi e nacche. E questo e quello. E fai sempre quello che
              vuoi. E non ubbidisci agli ordini… Chiamai il questore e gli dissi che

              così non potevo continuare. Finora avevo fatto più arresti io da solo che
              tutti i poliziotti passati da Prezia prima di me. Il giro della droga era
              paralizzato. Mi spaccavo la schiena con i miei colleghi e ogni volta, a

              sentire  il  mio  dirigente,  era  come  se  il  criminale  fossi  io.  Così  ci
              convocarono entrambi. Bosco si tramutò, forse si rese conto che la sua
              carriera rischiava uno stop se continuava a intralciarmi. Fiutò il vento e

              disse che aveva capito. Finalmente il questore autorizzò la formazione
              della  squadra  investigativa  e  mi  chiese  se  me  la  sentivo  di  diventare
              sottufficiale:  ero  pronto?  Io  non  sapevo  che  dire.  Con  i  gradi  avrei
              potuto fare molto di più, ma non sapevo se sarei riuscito ad affrontare
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