Page 52 - Sbirritudine
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cena con tutti i crismi, oppure farci la spesa prima di tornare a casa per
              convincere  le  mogli  che  non  ce  ne  fregavamo  del  tutto  della  vita

              domestica.
                 Con zù Tano le parole non servivano, bastava indicargli quello che

              volevi e mimargli con le mani la quantità. Puntai l'indice sulle casse di
              birra e feci un sette con le dita. Oltre a me e Renzo c'era Paco detto
              “Sivo”  perché  rideva  per  ogni  minchiata,  Rino  detto  “Pititto”  perché

              aveva  sempre  fame  e  Pippo  detto  “Strafalàrio”  perché  si  vestiva  alla
              minchia di cane e ascoltava musica da scoppiati. Eravamo noi il gruppo
              dei duri e puri. Con gli altri nuovi arrivati i rapporti erano ottimi, ma
              nuddu  si  pìgghia  si  'un  si  rassumìgghia.  E  noi  eravamo  uguali.  Sul

              lavoro  non  mollavamo  mai.  Sempre  operativi,  adrenalina  a  mille,
              precisi e senza perdere la testa. Dei dieci che erano arrivati, Rino, Paco
              e  Pippo  erano  poi  gli  unici  che  si  erano  messi  a  studiare.  Perché  io

              volevo impiantare la squadra investigativa e per farlo bisognava essere
              armati non solo di pistola ma pure di codici e di procedure corrette.

                 Erano la cosa più vicina a degli amici che io abbia mai avuto.

                 Da  ore  eravamo  stravaccati  vicino  al  mare  e  stavamo  per  scolarci
              l'ultima  cassa  di  birra  quando  a  Pippo  venne  un'idea  folle.  Pippo
              sembrava  un  attore:  bello,  affisicàto,  sguardo  magnetico,  baffetti
              conquistatori.  L'unica  cosa  che  gli  mancava  era  l'altezza:  arrivava  a

              stento al metro e sessanta. Era un divo in formato tascabile. Siccome
              con  le  donne  aveva  un  certo  successo,  quando  si  montava  troppo  la
              testa  gli  facevamo  notare  quei  centimetri  che  gli  difettavano  e  si

              incazzava come una bestia. Eravamo tutti scoglionati in quel periodo,
              quindi  ogni  occasione  era  buona  per  azzuffarsi.  E  infatti  Pippo
              attaccava dicendo che a lui i centimetri gli  mancavano in altezza  ma
              non, come invece a noi, in lunghezza. Da lì a mettere in mezzo mogli e

              madri, il passo era breve.

                 Pippo assicurava che la sua idea era rivoluzionaria, ma dato che noi
              lo sfottevamo e urlavamo non riusciva a spiegarcela. Paco rideva come
              sempre con quella sua risata isterica e insistente. Quando poi tornò il
              silenzio, Pippo ci rivelò la sua intuizione: voleva proporre al capo della

              Polizia di battezzare ogni volante con il nome di una donna.

                 Lo guardammo allibiti. Lui insisteva che era una genialata: «È come
              fanno i pescatori con le loro barche» spiegò, «per buona sorte». Non ci
              fu verso di fargli entrare in testa che era ubriaco fradicio e la sua idea
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