Page 49 - Sbirritudine
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Prezia bene. La sua villetta sembrava un porto della Costa Azzurra con
              Mercedes, Porsche e BMW attraccate come barche al molo una accanto

              all'altra. Bene.
                 Avevamo bisogno di un'autorizzazione, così bussammo alla porta di

              Scimò  e  lui  riluttante  ci  disse  di  rivolgerci  al  sovrintendente  Serro.
              Corremmo da lui seduta stante per notiziarlo, erano le otto e mezza di
              sera.  La  moglie  ci  informò  che  era  andato  in  pizzeria  a  ordinare  i

              calzoni al forno. Senza perdere tempo lo intercettammo lì, dicendogli
              che eravamo pronti a incastrare lo spacciatore. Serro, con i cartoni di
              pizza  da  asporto  in  mano,  ci  comunicò  che  doveva  prima  verificare.
              Quando  insistemmo  che  bisognava  agire  subito,  si  incazzò.  Forse

              perché mentre lo tartassavamo si accorse che della mozzarella rovente
              stava filando da uno dei buchi del cartone dritto sul risvolto della sua
              giacca,  oppure  perché  io  e  Renzo  lo  avevamo  praticamente  messo

              all'angolo  contro  il  muro  incandescente  del  forno  a  legna,  o  perché  i
              clienti in sala ci guardavano con sdegno. Ci mandò a quel paese e ci
              ringhiò  di  toglierci  dai  piedi.  L'autorizzazione  non  ce  la  dava,  ne
              avremmo riparlato l'indomani. E così fu.

                 Mille  discussioni  e  alla  fine  la  sera  dopo  eravamo  autorizzati  a

              entrare in azione. Peccato che davanti alla villetta non c'era più il solito
              viavai.  Non  si  vedeva  nessuno,  solo  il  Fontana  che  ogni  tanto  si
              affacciava  fuori  per  guardarsi  intorno,  stupito  quanto  noi  che  la  sua
              clientela si fosse volatilizzata. Dissi a Renzo che Serro ci aveva fregato.

              Lui mi rispose che era venuto il momento di lasciar perdere, non ce la
              potevamo fare soli contro tutto e tutti.

                 Lo guardai negli occhi e gli sorrisi. Scesi dall'auto e andai dritto a
              casa  di  Fontana.  Suonai  il  campanello  e  lui  mi  venne  ad  aprire  tutto
              contento, convinto che fossi un tossico. Gli dissi che ero uno sbirro e

              che la sua attività era finita, avrebbe dovuto trovarsi un altro lavoro. Lui
              rimase senza parole. Entrai in casa e ci restai tutta la notte. Ascoltai i
              suoi sfoghi, le sue lamentele, le sue paranoie. Renzo ci venne a portare

              da mangiare a più riprese. Alla fine eravamo diventati amici, se così si
              può dire. Fontana fece i nomi di parecchi clienti e raccontò come aveva
              conosciuto Serro: era successo un paio di anni prima, a casa di gente

              importante. Disse che era pure uscita la notizia sul giornale, e rovistò in
              un cassetto fino a trovare il ritaglio dell'articolo corredato da una foto di
              gruppo: il quinto da sinistra era Serro che cingeva le spalle di Fontana.
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