Page 48 - Sbirritudine
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trasferire solo per questo? E il sovrintendente Serro? Si faceva i cazzi
              suoi, e allora? Era un crimine?

                 In  ogni  caso  le  acque  da  calme  cominciarono  a  incresparsi  un  po'.
              Con  Renzo  riuscimmo  a  prendere  diversi  spacciatori.  Mettemmo  i

              sigilli a uno sfasciacarrozze che trafficava in pezzi rubati. Rompemmo
              parecchie volte i coglioni a quelli del cementificio.

                 Cercavamo di portare gli arrestati in commissariato durante la notte,
              per infastidire il piantone e soprattutto Scimò che veniva prontamente
              svegliato  in  pieno  sonno  da  amici  di  amici  che  chiedevano  il  suo

              intervento per far uscire il prima possibile il malcapitato. Era diventata
              una guerra di nervi.

                 Renzo, nel frattempo, faceva giri di telefonate a tutti i poliziotti che
              aveva  conosciuto  e  li  sprovava.  Io  facevo  altrettanto.  Alla  fine
              recuperammo una decina di nomi puliti. Tutti incazzati. Tutti tenuti alla

              larga  dai  colleghi  dei  rispettivi  commissariati.  Tutti  con  i  coglioni.
              Poteva  diventare  una  bella  squadra  investigativa.  E  Prezia,  centro
              nevralgico  di  Cosa  Nostra  in  Sicilia,  non  ne  aveva  una.  Prima

              dovevamo liberarci dei dirigenti corrotti e delle mele marce.
                 Per cercare di velocizzare la pratica, mi misi alle costole di Scimò. Ci

              volle poco a scoprire che alcune notti faceva il custode della cantina di
              Agatino  Tortorici.  Con  Renzo  scattammo  foto  e  cimiciammo  la
              guardiola.  Minchia,  sentire  Scimò  che  diceva  sissignore  di  qua  e

              sissignore di là a un uomo d'onore era uno schifo.
                 Fuori uno. Ora bisognava beccare Serro.

                 Un  giorno  pizzicammo  uno  spacciatore  malacuminàto.  Tremava,
              quando parlava gli colava la bava, aveva gli occhi sempre chiusi. Lo

              usavano  come  cavia  per  capire  quanto  tagliare  la  roba,  in  più  gli
              concedevano di “smerciare” modiche quantità di tanto in tanto. Sapevo
              che  era  un  pesce  piccolo:  una  minchia  di  mare.  Io  e  Renzo  ce  lo

              lavorammo  con una lunga chiacchierata. Si fidò di noi e ci passò un
              paio di informazioni. La prima era roba inutile e non ci portò a niente:
              un  tossico  come  lui,  un  certo  Luciano,  che  aveva  un  garage  in  cui

              teneva dei motorini rubati. La seconda pareva più interessante: un altro
              spacciatore  di  medio  livello,  tale  Fontana,  con  clientela  pregiata  e
              grossi quantitativi di stupefacenti in casa. Ci appostammo per qualche
              giorno. A  quanto  sembrava  Fontana  aveva  preso  il  posto  del  mio  ex

              collega Petruso: belle ragazze, macchine di grossa cilindrata, figli della
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