Page 39 - Sbirritudine
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Pomodoro. Mi disse che aveva un amico da presentarmi. Ci
incontrammo la sera poco fuori dal paese, ma quando arrivò era solo.
Gli chiesi del suo accompagnatore e mi rispose che se l'era inventato.
Aveva voluto vedermi per dirmi grazie. Non capivo, poi spiegò che
Petruso lo sfotteva da quando erano ragazzini, che per tutta la vita lo
aveva torturato a forza di sfottò e scherzi crudeli. Il poliziotto perfetto
che prendeva in giro il mafioso venuto male. Insomma, l'avevo liberato
dal suo aguzzino. Allora capii perché mi aveva fatto quelle rivelazioni
su Petruso. Voleva toglierselo di torno e io gli ero servito come
strumento. Non era stupido come sembrava. Non dissi nulla. Mi aveva
usato, ma Petruso era comunque un corrotto, quindi andava bene così,
faceva parte del gioco.
Nardo Pomodoro mi disse anche che voleva darmi una prova
concreta della sua riconoscenza. Sapeva dove si nascondevano due
latitanti appartenenti alla famiglia reggente di Prezia. Era vero? Dovevo
rischiare. Mi passò un foglietto scritto a stampatello con l'indirizzo, e
sorrise. Chissà quanta merda gli aveva fatto mangiare Petruso. Ora
sembrava sereno.
Apro il finestrino. L'aria fredda mi schiaffeggia come una lampìata.
Non riesco a scendere. Poi il randagio spunta alle mie spalle. Mi ha
seguito fino al commissariato. Riprovo a scendere dall'auto, adesso che
ho compagnia. Apro lo sportello. Di nuovo qui. Ora mi è venuta subito
voglia di entrare e di respirare l'aria che c'è lì dentro. Non ce n'è una
uguale da nessuna parte del mondo. Solo chi l'ha provata può capire. È
ossigeno, calore, sudore, adrenalina, sigarette, inchiostro, muffa, rabbia
e odio. È così spessa che quasi non passa dalle narici. Servono i
polmoni giusti.
Il cane mi si struscia sulle gambe. I suoi occhi mi osservano, attenti.
Si aspetta qualcosa da me, ma è inutile. Ho già dato tutto me stesso e
adesso non c'è più niente. Avvio il motore e riparto. Il cane mi insegue.
Poveretto, forse credeva di aver trovato un padrone. Lo guardo
rimpicciolirsi nello specchietto retrovisore. Mi dispiace, amico mio, ma
siamo soli. È la lezione che ho imparato meglio.