Page 36 - Sbirritudine
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sul tavolo del salotto. Coca ovunque. L'uomo d'onore a torso nudo con
una panza che pareva incinto.
Petruso arrivò dalla cucina con il secchiello del ghiaccio. Era in
mutande, aveva gli occhi iniettati di sangue e un sorriso da ebete
stampato in faccia. Il petto depilato e due gambette secche secche che
lo reggevano appena. Non era poi così bello come quando indossava la
divisa.
Mi guardava senza capire. Era strafatto. In commissariato, Scimò non
ci voleva credere. Ancora non avevo indagato su di lui, non sapevo che
anche lui era corrotto e quindi provai a convincerlo della colpevolezza
di Petruso e gli mostrai le prove che avevo raccolto.
Petruso chiese di restare solo con noi due, disse che non si fidava
degli altri colleghi. Lui! Provò a imbastire una complicata
giustificazione, ma gli feci capire che non era il caso. Allora patteggiò.
Disse a Scimò che ci avrebbe fatto trovare un deposito di armi di Cosa
Nostra. Armi usate durante la mattanza degli anni Ottanta. Gli risposi
che me ne sbattevo delle armi e che lo volevo in galera. Scimò
insistette: quali armi? Di che parlava? Sembrava sinceramente
interessato. E invece lo stronzo pensava a come avvantaggiarsi con i
suoi referenti mafiosi. Era un accordo tra Petruso e Scimò. Io allora non
potevo capire.
Trovammo il deposito. Poca roba, qualcuno aveva ripulito. Scimò ci
fece una gran figura sui giornali. Di me non si parlò mai. Ma chi se ne
frega. Dopo due settimane Petruso ottenne il trasferimento a Palermo e
poi finì a Roma.
Lo sbirro modello, nonostante le sue gambette secche, c'era riuscito a
fare carriera.
Stasera non c'è nessuno nella piazza. Nardo Pomodoro, che ci
metteva radici la sera, è morto cinque anni fa. Un incidente, hanno
detto. Sua moglie si è risposata dopo neanche un mese di lutto e suo
figlio ora è in politica.
Prezia la notte dà i brividi.