Page 289 - Sbirritudine
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Ammanettai  Bellingeri  e  lo  tenni  sotto  tiro  fino  a  quando  non
              arrivammo alla mia auto. Mandai un SMS a Spada, doveva perlustrare
              il  covo  del  boss  per  recuperare  eventuali  prove.  Guidai  da  Camico  a

              Prezia con Bellingeri accanto. Usavo la destra per tenere il volante e
              cambiare marcia, con la sinistra gli puntavo la pistola.

                 Erano le tre del  mattino.  Le strade erano deserte. Sembrava che al
              mondo non fosse rimasto nessuno tranne me e il boss. Lui si mordeva il
              labbro;  aveva  un  tic  all'occhio  sinistro,  che  apriva  e  chiudeva  in

              continuazione; aveva i capelli scombinati, indossava un paio di jeans e
              un maglione bucato e ai piedi aveva delle ciabatte di plastica. Cercava
              di mettersi comodo sul sedile, ma aveva le braccia ammanettate dietro

              la schiena. Non parlava. Mi guardai allo specchietto retrovisore: avevo
              una faccia terribile. Rapato a zero, gli occhi cerchiati da borse, il viso
              tirato.  Tutti  e  due  sembravamo  appena  scappati  da  un  manicomio.  E
              forse era proprio così.

                 Quando arrivai al commissariato il piantone dormiva sulla brandina.

              Lo  svegliai  urlandogli.  Quando  vide  Bellingeri,  si  stracanciò  nella
              faccia e iniziò a tremare. Quando gli chiesi dei colleghi, mi disse che
              non c'era nessuno. E certo, pensai: io ero sparito, che ci restavano a fare
              in commissariato?

                 Spinsi il boss su per le scale, fino alla stanza dell'investigativa. Lo

              feci sedere e, con un altro paio di manette, gli legai una caviglia al tubo
              del  termosifone.  Poi  mi  sedetti  di  fronte  a  lui,  presi  il  telefono  e
              cominciai  a  chiamare  le  redazioni  dei  giornali.  Dissi  a  tutti  che  Fifi
              Bellingeri, il boss latitante di Prezia, era stato arrestato. Alle quattro e

              mezza qualcuno provò ad aprire la porta, che avevo chiuso a chiave.

                 Era Spada. Quando entrò e vide il boss disse solo: «Minchia».
                 «Minchia  vero»  risposi  io.  Spada  mi  aveva  portato  dei  pizzini,  un

              paio di mappe, dei cellulari e dei santini che aveva trovato nella baracca
              del boss. Mise tutto in un sacchetto di plastica e me lo passò.

                 «Non  sono  venuto  prima  per  non  lasciare  sguarnito  il  covo»  mi
              spiegò.

                 «C'è Cripto ora lì?» gli chiesi.

                 «Sì, torno da lui. Tu qua mi pare che hai tutto sotto controllo.»
                 Richiusi a chiave la porta e tornai a sedermi di fronte al boss. Alle
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