Page 281 - Sbirritudine
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consegnare le armi a Piscitello, all'improvviso capii: l'attesa era parte
              integrante  di  quella  vita,  non  una  conseguenza  spiacevole. Aspettare,

              per un uomo d'onore, era importante quanto agire, uccidere, fuggire e
              picchiare. La maggior parte della loro esistenza era fatta di niente. Poi,
              ogni tanto, si muovevano, come dei predatori. Lunghissime attese e poi
              l'attacco, che durava attimi.

                 Alle  nove  era  perfettamente  buio.  Iniziai  a  prepararmi,  per

              raggiungere  il  porto  di  Cardillo  ci  voleva  mezz'ora.  Non  dovevo
              arrivare troppo in anticipo, né troppo a ridosso dell'ora prevista per lo
              sbarco,  perché  in  entrambi  i  casi  gli  uomini  di  Piscitello  avrebbero
              potuto notarmi.

                 Le nove e mezza.

                 Tirai  fuori  l'auto  dal  garage  di  lamiere  e  guidai  fino  all'autostrada.
              Passata l'uscita per Cardillo, girai intorno al paese per farmi vedere: una

              macchina un po' scassata con targa di Palermo, alla guida uno con il
              cranio rasato. Nessuno avrebbe pensato a me. Tagliai verso il porto, ma
              invece di andare in direzione del molo presi una strada sterrata e giunsi

              a  ridosso  del  mare.  Lasciai  la  macchina  lì.  Dal  portabagagli  presi  le
              canne  da  pesca  e  una  borsa,  poi  mi  diressi  verso  il  mare  facendo
              rumore: se qualcuno controllava, avrebbe sentito che un pescatore stava
              andando a piazzarsi sugli scogli. Arrivato alle rocce riuscii a trovare un

              punto  in  cui  piazzare  le  canne  telescopiche  e  le  allungai.  In  cima
              avevano  un  nastro  fosforescente:  volevo  che  la  mia  posizione  fosse
              individuata e tenuta sotto controllo. Accesi una piccola lampada, feci un

              paio di lanci maldestri e incastrai le canne tra le rocce aiutandomi con
              delle  pietre.  Erano  le  dieci  e  venti.  Me  ne  rimasi  tranquillo  per  una
              buona  mezz'ora.  Ogni  tanto  si  vedeva  qualche  barca  che  entrava  o
              usciva dal porto alla mia sinistra.

                 Era ora. Presi il binocolo dalla borsa, me lo infilai al collo e scivolai

              lentamente dallo scoglio su cui ero seduto. Mi acquattai e mi guardai
              bene  intorno.  Le  canne  erano  al  loro  posto,  non  si  vedeva  nessun
              movimento. Salii su un altro scoglio, lentamente, poi avanti, un altro
              ancora. Finalmente raggiunsi i frangiflutti che facevano da barriera al

              porto, accatastati come enormi dadi lanciati dal cielo. Ne superai una
              ventina,  sempre  tenendomi  sul  lato  meno  illuminato.  Ecco  i  moli.  I
              primi tre erano carichi di barche, l'ultimo era quello usato per il carico e

              scarico.  Un  lampione  ne  illuminava  una  parte.  Puntai  il  binocolo:
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