Page 280 - Sbirritudine
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Mi buttai sul letto e pensai: sono diventato un latitante. Mi comporto
              come loro. Agisco come loro. Ma sapevo che era quello l'unico modo

              per batterli.
                 La  mattina  seguente  mi  alzai  presto  e  mi  tagliai  i  capelli  a  zero.

              Aspettai il cambio turno del portiere per evitare di avere un testimone
              della mia rasatura, scesi di sotto, pagai e me ne andai. Presi un pullman
              fino a Firenze, e da lì un altro fino a Napoli. La sera presi un traghetto

              per Palermo e l'indomani mattina, all'alba, sbarcai e raggiunsi a piedi il
              punto in cui Spada mi aveva lasciato un'auto. Ero di nuovo in Sicilia,
              ma non lo sapeva nessuno. Ero un clandestino.

                 Imboccai l'autostrada e guidai fino all'altezza di Bonifacio, poi presi
              la provinciale e mi diressi alla casa di campagna degli zii di Cripto: una

              catapecchia abbandonata da anni, che aveva un garage fatto di lamiere
              ed  era  protetta  da  alti  alberi  di  noce.  Sistemai  l'auto  nel  garage  di
              fortuna  e  aprii  il  bagagliaio:  dentro  c'erano  delle  canne  da  pesca
              telescopiche  e  dei  sacchi  contenenti  coperte,  bottiglie  d'acqua  e

              scatolette di tonno e carne. Entrai in casa con i rifornimenti: era piccola,
              puzzava di umido e di rancido. Era perfetta.

                 Mancavano  due  giorni  all'appuntamento  con  Piscitello.  Rimasi
              nascosto lì, al buio. Come un vero latitante di mafia. Comunicavo via
              SMS con Spada e Cripto. In commissariato non si parlava di me, mi

              scrissero, sembrava tutto tranquillo. Sia io che mia moglie non eravamo
              più rintracciabili ma, visto che Spada e Cripto erano ancora a Prezia,
              poteva darsi che io e Anna avessimo deciso di fare una specie di fuitìna

              e sparire per un po'. In fondo era possibile: eravamo un marito e una
              moglie che stavano ricominciando.

                 Il  pomeriggio  del  secondo  giorno  fremevo,  non  ce  la  facevo  più  a
              stare  rinchiuso  come  una  bestia  in  gabbia.  Ma  come  facevano  i
              latitanti?  Che  cosa  li  spingeva  ad  accettare  quella  vita?  Il  potere,  la

              ricchezza? Niente per me sarebbe valso tanto da vivere in una prigione
              volontaria. Solo mia moglie e mio figlio, forse. Più stavo ingabbiato lì
              dentro  e  più  non  li  capivo.  Ormai  ero  sicuro  di  sapere  come
              ragionavano  gli  uomini  d'onore,  e  invece  no.  Quel  loro  accettare  la

              perdita  totale  della  libertà,  e  la  solitudine,  la  noia,  il  disagio,  la
              stanchezza e la tensione, era inspiegabile. Eppure, loro sceglievano di
              vivere in quel modo.

                 Poi  la  sera,  a  poche  ore  dall'arrivo  dell'imbarcazione  che  doveva
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