Page 276 - Sbirritudine
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andai  alla  porta  di  ingresso.  Iniziai  a  picchiare  con  i  pugni.  «Apri!»
              urlavo. Pino Tortorici si affacciò al balcone. Aveva il viso sofferente, la

              luce del lampione sembrava scavargli la faccia.
                 «Che vuoi?» sussurrò. «Vattene.»

                 «Scendi subito.»

                 «Vattene, o chiamo i Carabinieri.»

                 Lo  guardai.  I  Carabinieri,  aveva  detto.  Non  la  Polizia.  I  mafiosi
              odiano i Carabinieri, è la peggiore offesa che un uomo d'onore possa
              fare  a  un  altro.  “Carabiniere!”  O,  peggio,  “carabiniere  a  cavallo”.

              Tortorici mi fissava dal balcone. Non aveva detto: “Chiamo la Polizia”.
              Era un avvertimento. Mi stava avvertendo. Anche lui era controllato?
              Tornai indietro e scavalcai il muro. Pino era rientrato in casa. Potevo
              ancora fidarmi di lui?

                 Tornai al commissariato e mi rintanai in archivio a pensare. Tra due

              giorni  sarei  partito,  cominciavano  le  mie  ferie.  Ma  non  riuscivo  a
              prendere sonno: perché Tortorici era fuori? Chi lo aveva fatto uscire?
              Perché  era  andato  a  ricattare  Pandolfo?  Perché  proprio  ora?  Che
              c'entrava la cattura di Sciacca con la richiesta di pizzo? E poi, perché

              Pandolfo  si  stava  lanciando  in  investimenti  nel  fotovoltaico  e
              nell'eolico?  Lui  si  occupava  di  cemento  e  di  costruzioni.  Prima  di
              partire dovevo scoprire come stavano le cose, o la cattura di Bellingeri

              rischiava di saltare.
                 Mi  svegliai  all'alba  e  andai  a  piedi  vicino  a  casa  di  Pino.  Era  un

              rischio, ma dovevo parlargli. Sarei rimasto lì per tutta la mattinata e se
              fosse  uscito  lo  avrei  seguito.  Mi  bastava  che  andasse  in  piazza:  lì,
              davanti  a  tutti,  lo  avrei  fermato.  Così  tutti  avrebbero  visto,  gli  amici

              degli amici e i miei colleghi. Era l'unico modo, perché a quel punto non
              avrebbero  potuto  fare  altro  che  stare  a  guardare  e  chiedersi  che  cosa
              stesse succedendo.

                 Ero  stato  io  ad  arrestare  Tortorici  per  detenzione  illegale  di  armi,
              quindi era piuttosto normale che lo fermassi. Gli altri uomini d'onore

              avrebbero pensato che a uno sbirro testa dura come me non gli calava
              che Tortorici se ne andasse in giro, e in questo modo lui non avrebbe
              rischiato  nulla:  ci  conoscevamo,  quindi  eravamo  a  posto.  I  miei

              colleghi, venendolo a sapere, avrebbero pensato che, dato che stavo per
              andare in ferie e forse per sempre via da Prezia, avevo visto uno che
              avevo arrestato e mi ero incazzato. Poteva essere. Doveva essere.
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