Page 279 - Sbirritudine
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«No. La soffiata su La Grua era vera. Non so se ci hai parlato o che
              cosa ti abbia detto, ma anche se sai dove si nasconde Bellingeri ti do un

              consiglio: fermati. Lo prenderanno comunque, loro lo hanno già deciso.
              Ma non adesso. Quindi se provi a fare di testa tua te lo impediranno in
              tutti i modi. Lascia stare. Ti senti usato, lo so, mi sentivo anch'io così.
              Ma basta accettare il fatto che facciamo tutti parte del gioco. Tu ci sei

              dentro, anche se non lo riesci ad ammettere.»

                 «No» dissi voltandomi, «io no.»
                 Mi allontanai lasciandolo al centro della piazza. Mi guardavano tutti.

              Che  avevo  detto  a Tortorici?  Seduti  al  bar,  si  scambiavano  dei  segni
              impercettibili.  Andate  affanculo,  pensai.  Non  c'era  modo  di  fermare
              Cosa  Nostra,  perché  in  realtà  non  si  muoveva.  Erano  tutti  fermi:  i

              mafiosi,  lo  Stato,  ogni  cosa  immobile.  L'unico  a  correre  ero  io:  per
              questo dovevo essere fermato.

                 Al commissariato presi le mie cose e salutai i colleghi, che non mi
              degnarono di uno sguardo. Bene. Meglio. Andai in aeroporto. Un volo
              per  Roma.  Spada  contattò  alcuni  suoi  amici,  colleghi  fidati  della

              capitale,  e  chiese  di  andare  a  prendere  mia  moglie  e  mio  figlio  e
              accompagnarli a Civitavecchia, nella casa sfitta di uno di loro. Mentre
              atterravo, loro erano già al sicuro. Nessuno poteva più controllarli. Il
              cellulare  personale  di  mia  moglie  era  spento,  batteria  staccata.  A

              Fiumicino,  uscii  dagli  arrivi  e  rientrai  alle  partenze.  Il  telefonino
              intercettato era ancora spento, e da quel momento in poi non lo  avrei
              acceso più.

                 Comprai un biglietto per Torino. Là, affittai un'auto e andai a Milano.
              Poi presi un treno e mi spostai a Genova. La sera, sfinito, comprai una

              macchinetta  per  tagliare  i  capelli  e  presi  una  stanza  in  un  albergo
              scadente vicino al porto. Chiamai mia moglie con il cellulare sicuro.

                 «Tutto a posto?»

                 «Sì… Dove sei? Che sta succedendo?»
                 «Non posso dirtelo.»

                 «Sto  impazzendo.  Ho  bisogno  di  vederti.  Ti  prego,  non  fare
              stupidaggini. »

                 «Devo chiudere. Stai tranquilla.»

                 «Ti amo. Io ho bisogno di te.»

                 «Anch'io.»
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