Page 28 - Sbirritudine
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La mafia emigrata negli Stati Uniti negli anni Venti e Trenta viene da
              qui. Cardillo è come  la casa della  madre anziana di  un figlio che ha

              fatto  fortuna.  La  madre  va  coccolata,  rispettata,  amata,  riempita  di
              regali e affetto. E la sua casa deve essere l'invidia dei vicini. Cardillo è
              il modello ideale di città a regime totalmente mafioso. È una Svizzera
              siciliana. È il cantone più ricco della confederazione di Cosa Nostra.

              Qui non servono vedette né intimidazioni o attentati. Sono tutti mafiosi.
              Imparentati gli uni con gli altri e amici di tutti. Uno sbirro a Cardillo è
              come  uno  stelo  d'erbaccia  in  un  giardino  meraviglioso.  Lo  sbirro  si

              sente  a  disagio,  come  se  fosse  un  vigile  urbano  italiano  a  dirigere  il
              traffico di Berna. È assolutamente inutile: perché qua tutti rispettano le
              regole. Regole che soltanto il vigile non conosce. Diventa lui l'impaccio
              al traffico.

                 Posteggio la macchina. Storta. Così si fottono quelli di Cardillo.

                 Un bar aperto. Mi viene da ridere. Un bar aperto a quest'ora significa
              solo una cosa: spaccio.

                 Entro. Luce sparata. Dietro il bancone uno con la faccia impassibile

              da passapitìtto. Agniuniàto alla mia destra, uno che si è appena calato
              qualcosa.  Sballato  preciso.  In  fondo  due  gargi.  Sono  vestiti  come
              presentatori di un circo, con la giacca e i pantaloni sbrilluccicanti. Mi
              talìano. Io li fisso. Il barista mi chicchìa qualcosa: «Vu… vu… vuole

              qua… qua… qualcosa da… da bere?». Io ammiccio i due tasci. Uno,
              quello  più  grande,  con  pochi  capelli,  mi  dice  solo:  «Buonasera,
              signore».

                 La conversazione in Sicilia è qualcosa di complicato che si svolge su
              livelli diversi. Prima di tutto è fatta più di silenzi che di parole. Una

              conversazione muta. E poi è estremamente impegnativa. Ecco perché i
              siciliani parlano poco. Chi parla tanto è poco rispettato, vuol dire che
              non usa bene la testa.

                 Se  per  strada  vedo  uno  che  conosco,  la  prima  cosa  che  faccio  è
              cercare di evitarlo. A distanza cerco di capire se mi ha visto e se anche

              lui sta facendo lo stesso. Così si evita la conversazione, anche perché si
              è già accumulata una gran quantità di dettagli importanti: non mi saluta
              per lo stesso motivo per cui non lo saluto io e cioè è tutto tranquillo e

              non gli va di parlare? Oppure c'è qualcosa sotto? Lo capisci da come fa
              finta di non vederti. È impacciato? È sicuro di sé? È spaventato? Nel
              corso del giorno o magari dei successivi avrò modo di appurare i suoi
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