Page 26 - Sbirritudine
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invaso  il  commissariato.  Come  potevo  fargli  capire  che  eravamo  in
              trincea?  Loro  non  vedevano  nessuna  battaglia.  Era  tutto  tranquillo.

              Osservavo i miei colleghi con i loro sguardi bovini e mi ripetevo che a
              Prezia comandava Fifi Bellingeri, un boss latitante feroce e potente, che
              Prezia  era  il  centro  della  mafia  occidentale,  dieci  volte  più  potente e
              violenta di quella orientale, che era porto franco per qualunque tipo di

              traffico mafioso e non, che qualunque attività economica era mafiosa,
              che  le  radici  mafiose  lì  erano  talmente  salde  che  vi  svernavano  i
              maggiori  latitanti  d'Italia.  Queste  cose  le  avevo  lette  nelle  varie

              informative,  me  le  aveva  raccontate  il  magistrato  che  avevo  protetto,
              erano  venute  fuori  al  maxiprocesso.  I  colleghi  del  commissariato,
              invece, non ne sapevano nulla. Vivevano in una bolla. Tranquilli. Con il
              panettone  a  Natale  e  il  crasto  a  Pasqua,  regali  di  amici  di  amici.

              Inconsapevoli e felici di credersi  rispettati da dei pezzi di  merda che
              ammazzavano e trucidavano e strangolavano.

                 Mi  spiegarono  le  mie  mansioni.  Un  impiegato  delle  poste  avrebbe
              rischiato di più a timbrare le raccomandate. Quella sera guidai come un
              pazzo fino al mare. Scesi dalla macchina e arrivai fino al bagnasciuga.

              Lo Stato non c'era a Prezia. Che cazzo c'ero venuto a fare? Mi ero fatto
              la mia passeggiata la mattina allattàriandomi come un galletto. La gente
              mi  guardava  e  già  sapeva  quello  che  avrei  trovato  al  commissariato.

              Non  mi  temevano.  Mi  compativano.  Avevo  esagerato.  Ingoiai.  Il
              giudice  Falcone  l'aveva  capito.  I  mafiosi  hanno  interessi  comuni,
              comandare e fare soldi, non dieci diversi come i partiti. Bisogna trovare

              i  propri  simili  per  combattere  la  mafia.  Insieme  si  vince.  Da  soli  si
              muore.  Cosa  Nostra  è  una  catena  di  siciliani.  Un  siciliano  da  solo  è
              stronzo,  simpatico,  intelligente  o  stupido.  Un  siciliano  già  di  suo  si

              sente costantemente minacciato, osservato, controllato e giudicato. Se è
              solo con altri non siciliani tende a rilassarsi. Ma quando arriva un altro
              siciliano le cose cambiano. La tensione sale alle stelle. Questo chi è? A
              chi  appartiene?  Mi  posso  fidare?  Conosce  qualcuno  di  quelli  che

              conosco io? Due siciliani che stringono un patto diventano un sistema
              impermeabile. Tre sono un muro d'acciaio. Dieci sono una sfera chiusa
              e impenetrabile. La mafia usa la testa dei siciliani. Ne lega prima due e

              poi tre e piano piano forma una catena. Una catena che è difficile da
              spezzare.  È  questo  che  va  cambiato.  Io  me  lo  ripeto  continuamente.
              Non  c'è  nessuno  che  mi  giudica,  non  c'è  nessuna  minaccia.  È  dura,
              però. Noi siamo cresciuti tutti così. Siamo paranoici.
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