Page 24 - Sbirritudine
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collusi, compiacenti o semplici strafottenti. Gli altri ventimila avevano
              solo  paura.  Passeggiavo  e  cartografavo.  Ogni  straduzza  di  minchia,

              ogni  maledetta  trazzèra,  ogni  via,  accesso,  sentiero,  ogni  porta  e
              finestra.  Le  vie  del  paesino  sembravano  sempre  uguali.  Sempre
              polverose. Sempre deserte. Il vento che passa a mezzogiorno di là, dal
              lato del mare, e che solleva le tende degli ingressi delle case a piano

              terra, ogni volta nello stesso modo. Tutto uguale. Tutto immutabile. E
              invece no. Ci sono piccoli cambiamenti, minime sfumature. Io passavo
              e osservavo. Perché la vedova Cutrufo ha cambiato le tende? Perché le

              ha messe rosse? È un segnale per qualcuno? Che significa per gli altri?
              Tutto era un segnale. Tutto era allarme. Era come se suonassero sempre
              diecimila sirene a squarciagola. È un casino la Sicilia, se ci stai attento.
              Pare silenziosa e invece è un bordello. Rischi di diventare sordo per il

              frastuono.

                 Mentre passeggiavo buttavo un occhio ai maliùti. Facce fiere, sicure,
              arroganti, minacciose. Questi hanno il consenso della gente, pensavo. E
              come li potevo criticare? Tra lo Stato che ti impone le tasse e ti spreme
              senza darti nulla, e quelli che invece ti risolvono subito i problemi, di

              chi si dovevano fidare? Disoccupazione, mancanza di strade, di scuole,
              di  cultura,  di  rispetto.  Questo  è  lo  Stato.  E  i  mafiosi  che  ti  offrono?
              Lavoro, soldi facili, rispetto e identità. Chi scegli? La mafia e lo Stato

              sono  come  le  lancette  dello  stesso  orologio.  Si  rincorrono
              continuamente facendo finta di inseguirsi. Poi ogni tanto si incrociano
              segnando  la  stessa  ora,  come  durante  le  elezioni.  In  quel  momento

              l'equilibrio è perfetto e il tempo si ferma, perché Stato e mafia hanno il
              medesimo obiettivo: sopravvivere. Ma dura un attimo, poi le lancette
              riprendono la loro corsa e ogni cosa ridiventa confusa e inspiegabile.

                 Quella mattina ero arrivato in piazza e tutti gli occhi erano fissi su di
              me. Bene, era l'effetto che volevo ottenere. Alle otto in punto arrivai

              davanti  al  commissariato.  Una  costruzione  bassa  e  cadente,  inferriate
              arrugginite,  imposte  divelte,  selciato  sfossato,  intonaco  a  pezzi.  Ero
              davanti all'immagine dello Stato a Prezia. Un rudere.

                 Attraversai  il  vialetto  d'ingresso  assediato  dalle  erbacce,  entrai
              nell'edificio  e  mi  ritrovai  in  un  corridoio  buio  e  stretto.  Sulla  destra,

              seduto come una comare sulla seggiola, c'era il piantone. Capello lungo
              e riccio, barba sfatta, divisa aperta a mostrare un chilo d'oro in collane
              che gli infestavano il petto, aria da sbruffone. Era intento a sbucciare

              fagiolini. Lo guardai stupito. Lui studiò la mia divisa impeccabile e mi
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