Page 20 - Sbirritudine
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mille. E quello che fa? Estrae un coltello. Smisi di ansimare all'istante.
Ora ero calmo. Sereno. Avevo raggiunto la pace dei sensi. Lo guardai e
gli dissi con tono fermo: «Butta il ferro o ti sminchio tutto». Il ladro mi
guardò e fece una faccia strana. Non se l'aspettava. Buttò il coltello a
terra e per un attimo parve avere rinunciato. Abbassai la guardia e lui
mi sferrò un calcio in pancia, ma ero talmente gonfio di adrenalina che
non sentii niente. Lo lampiài schiaffeggiandolo con due mani al volto e
una carcagnàta nei coglioni. Cadde a terra avvolto su se stesso, come se
si fosse ristretto. Dopo averlo ammanettato rifeci a ritroso il percorso
tra i vicoli del borgo, con la gente che mi guardava in cagnesco. Io
stavo dritto nella mia divisa inzuppata, lasciandomi una scia d'acqua
dietro ogni passo. Arrivai alla volante e trovai Dagnino e gli altri due ad
aspettarmi. Mi batterono le mani. «Bravo, bravo» mi dissero. Stronzi,
pensai io, mi avete lasciato solo per sprovarmi.
Non mi piacevano neanche un po' quei tre, ma non mi feci smontare
dal loro atteggiamento. Dopo quel giorno continuai a comportarmi
come se nulla fosse. Poi, una mattina, facemmo colazione tutti insieme.
Offri tu, no offro io, oggi tocca a lui. Ci infilammo in macchina e ci
dirigemmo fuori città. Io guardai dal finestrino e mi chiesi: che ci
facciamo nella zona industriale? Era fuori dalla zona in cui operavamo,
ma non dissi niente. Dagnino come al solito non fece che parlare e
parlare: di suo figlio che è bravo a calcio e del cognato che è un buono
a nulla. La volante entrò in un vicolo stretto e ci ritrovammo in uno
spiazzo ampio. Dagnino ci fece scendere. Li seguii in una specie di
scantinato e capii che era un deposito. Dentro c'era di tutto. Detersivi,
scatolame, pasta, vino e bibite. Mi guardai intorno perplesso. Arrivò il
proprietario: aveva la faccia inespressiva, pareva un pezzo di asfalto
bruciato dal sole. I miei colleghi gli fecero festa. Tanuzzo di qua e
Tanuzzo di là. Non ti fai mai sentire, fai lo splendido, al lavoro abbiamo
mille problemi. 'Sto Tanuzzo mi guardò, aveva occhi piccolissimi. Io lo
fissai e pensai: mi stai sfidando, vero? Vuoi capire se ti puoi fidare di
me o no. Mi stai pesando. L'ho capito e non abbasso gli occhi neanche
se mi spari. Dagnino vide che fissavo Tanuzzo e mi mise una mano
sulla spalla. «'U taliàsti abbastanza?» mi chiese. «Tanuzzo è un amico.»
Tanuzzu fece un segno a Dagnino e i due sparirono in fondo al locale.
Gli altri colleghi iniziarono a riempire dei sacchi di iuta di tutto quello
che gli capitava a tiro e mi dissero di fare altrettanto. Io li guardai
sdegnato e me ne tornai alla macchina.