Page 18 - Sbirritudine
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mafia e dello Stato.




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                 Posteggio  la  macchina  e  mi  faccio  il  corso  del  paese  a  piedi.  A
              quest'ora di notte cammini e ti sembra di stare nel salotto di casa tua.
              Non c'è nessuno e i passi rimbombano. Le saracinesche abbassate dei

              negozi sembrano file di occhi chiusi. È là, subito dopo la scalinata della
              chiesa  madre,  sotto  al  monumento  ai  caduti  della  Prima  guerra
              mondiale, che Dino Castrense ha preso a pugni il figlio del boss e ha

              firmato la propria condanna a morte.
                 I mafiosi sono vigliacchi. Io la divisa la porto alla luce del sole, loro

              si nascondono. Io ho una casa con il mutuo e pago le tasse, loro hanno
              tutto ammucciàto. Io non ho bisogno di niente e di nessuno, loro vanno
              in giro con guardaspalle e pistole. Io quando non sono d'accordo con

              qualcuno ci parlo, loro mettono le bombe. Io rispetto le regole, loro se
              le inventano. Io chiedo e loro impongono.

                 Svolto su corso Federico II, verso il belvedere. Al terzo piano di una
              palazzina  si  accende  una  luce.  Uomo  o  donna?  Lavoro,  insonnia,
              indigestione,  brutti  pensieri?  Ogni  volta  che  in  servizio  vedevo  una

              finestra  accesa  a  notte  fonda,  mi  si  arriminàva  il  sangue  nelle  vene.
              Perché quello era come un segnale, un semaforo che indicava a me e al
              mio collega che in quella casa stava succedendo qualcosa. All'inizio, da
              ausiliario,  mi  capitò  di  tutto.  Scippi,  furti,  spaccio,  matti  ubriachi,

              violenze  domestiche,  fuitine  amorose,  ricatti.  Ogni  volta  era  come
              sfogliare il catalogo dello schifo umano. C'era il professore stimato e
              allergico ai gatti che alle due di notte ascoltava la musica a tutto volume

              per dare fastidio alla vicina che aveva venti felini in casa. O il marito
              che  veniva  picchiato  a  sangue  dalla  moglie  alta  il  doppio  di  lui  e
              pesante il triplo. O il maniaco che si era fissato con un mio collega del
              113 e lo chiamava cento volte a notte masturbandosi come un pazzo e

              urlando.  Mi  sono  preso  tanti  di  quei  pugni  da  gente  alterata  e
              inchiummàta  di  droga  e  altrettanti  ne  ho  dati  per  acquietarli.  Ho
              scoperto che i peccati capitali non sono sette come ci raccontano, ma

              almeno cinquanta.
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