Page 13 - Sbirritudine
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Cantisàno era su una decappottabile. Dino gli si mise davanti, lo fece
              fermare e sputò a terra come sempre. Poi gli rivolse la parola, cosa che

              non faceva da dieci anni, per dirgli che un traditore non poteva essere
              un boss. Lo tirò fuori dall'auto e lo sfasciò di pugni davanti a tutto il
              paese.  Minchia  che  cutuliàta.  Non  intervenne  nessuno.  Mi  ricordo  il
              silenzio assoluto per chilometri e lo sguardo muto della gente, interrotti

              solo dallo schiocco delle nocche di Dino sulle ossa del viso di Pasquale.
              Il boss lo lasciò sfogare. Poi si alzò da terra, lo guardò con calma e gli
              chiese  se  aveva  finito.  Salì  sull'auto  con  la  faccia  che  sembrava  una

              fetta di carne macinata e se ne andò.
                 Il cadavere di Dino Castrense fu trovato due giorni dopo in un canale

              di scolo vicino al mare. In bocca aveva i coglioni di Francesca. La trans
              la  trovarono  squartata  vicino  al  fiume.  Una  metà  su  una  riva  e  una
              sull'altra.

                 Qui in Sicilia il tempo è diverso. È lento. Lentissimo. E le vendette si
              covano per anni. Poi di colpo il tempo accelera. Il lampo di una fucilata

              o dell'esplosione di una bomba. Dopo torna tutto tranquillo. E lento.

                 Da  quella  morte  capii  che  se  continuavo  a  frequentare  gente  così
              rischiavo di restare senza amici. Più tardi avrei scoperto che gli amici li
              avrei persi comunque.

                 Partecipai  al  funerale  di  Dino.  Eravamo  solo  io  e  sua  madre.  Suo
              padre aveva avuto paura. Dopo la messa andai al cimitero, sulla tomba

              di mio padre. Erano anni che non lo facevo.
                 Lasciai la radio, ripresi gli studi e mi diplomai. Il 3 maggio del 1983

              entrai  in  Polizia.  Vibo  Valentia  per  l'addestramento,  poi  Roma  e
              Palermo. Due anni come ausiliare. Ma la decisione dentro di me dovevo
              averla presa da tanto tempo. Credo che fu quando mio padre picchiò il

              pugno  sul  tavolo.  La  sua  rabbia  finita  in  mille  pezzi  sul  pavimento
              diventò la mia.




                 Domani, quando mi chiameranno, capirò quanta me n'è rimasta.





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