Page 11 - Sbirritudine
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anno  di  galera  o  era  così  tossico  che  ti  prendevi  uno  sballo  solo  a
              respirargli vicino.

                 A  un  certo  punto  lasciai  la  scuola  e  mi  misi  in  testa  di  fare  il  dj.
              Andava  di  moda. Trovai  lavoro  a  Radio  Bonifacio  Special  e  in  poco

              tempo ero diventato una specie di celebrità. Lavoravo da  mezzanotte
              alle  quattro.  Mettevo  dei  pezzi  dance  e  mi  sentivo  arrivato.  Ero  il
              signore della notte. Impostavo la voce fumandomi tre sigarette di fila

              prima di cominciare a trasmettere. Le pareti della saletta erano ricoperte
              da  cartoni  di  uova  per  insonorizzare  l'ambiente,  ma  avevano  usato
              cartoni sporchi pieni di gusci rotti, albume e merda di gallina. La puzza
              faceva  vomitare.  Non  mangiai  più  uova  per  anni.  Ma  nonostante  le

              cautele la vecchia che abitava accanto non faceva che picchiare col suo
              bastone contro la parete. Diceva che con quella musica avevamo fatto
              venire un infarto al marito e che ora cercavamo di ammazzare lei.

                 Io all'inizio ero quasi digiuno di musica, ma mi ero fatto fare un corso
              intensivo da un ragazzo di Bonifacio che faceva il militare a Sigonella,

              vicino a Catania, alla base militare americana. Era lui che mi forniva i
              dischi giusti quando tornava in licenza. Grazie alla mia voce roca, al
              bastone  della  vedova  Piscitelli  e  alla  musica  made  in  USA,  la

              trasmissione  funzionava.  La  gente  mi  telefonava  pure  dai  paesi  nei
              dintorni  per  chiedermi  un  pezzo  o  un  consiglio  per  avvicinare  le
              ragazze. Alcuni mi venivano a trovare in radio a fine serata. Birra su
              birra e poi di corsa in macchina fino alla spiaggia. Lì incontravamo altri

              sfasciallìtti  come  noi  e  facevamo  a  pugni.  Mi  aveva  preso  così.
              Spaccare  la  faccia  alla  gente  e  farla  piangere  era  il  mio  modo  di
              piangere.

                 Una  sera  mi  chiamò  uno  in  radio  e  mi  chiese  un  brano  melodico
              napoletano. Gli risposi che io Mario Merola l'avrei proibito per legge.

              Dopo mezz'ora quello mi si presentò davanti per minacciarmi perché gli
              avevo mancato di rispetto. Era  Dino Castrense, uno che s'era fatto la
              galera seria. Rapina a mano armata e tentato omicidio. Uno molto più

              pazzo di me. Tanto pazzo che Cosa Nostra lo aveva avvertito di finirla,
              mandando qualcuno a parlare con suo padre. Ma lui se ne sbatteva, di
              entrambi.

                 Eravamo uno davanti all'altro. Io un ragazzino che ancora non aveva
              capito un cazzo e lui un uomo che non aveva più niente da perdere. Mi

              fissava. Voleva che calassi le corna. Ma io le corna non le ho mai calate
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