Page 8 - Sbirritudine
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Pubblicità. Mio figlio rientra. Ciao pa'. Ciao ma'. È un adolescente. È
              già tanto che ci saluti. Sua madre gli chiede cosa ha fatto e dove è stato.

              Lui dice niente, lo sai, il solito. Mi guarda. Io lo guardo. Muti tutti e
              due. Io alla sua età neanche mi sognavo di diventare sbirro.

                 Ricomincia il film. Il principe di Salina rifiuta di fare il senatore per
              il Regno d'Italia. Lo farà suo nipote, che è la stessa cosa. Tutto cambia
              perché deve restare com'è. La mafia aveva vinto già allora.

                 Dalla  sedia,  mia  moglie  mi  controlla.  Vuole  capire  se  mi  sono
              addormentato. Non gliel'ho detto che ormai non dormo più di due, tre

              ore a notte, e mai di fila. Voglio evitare sciarre in famiglia.
                 Lei  va  a  dormire.  Buonanotte  amore.  Buonanotte  a  te.  Chiude  la

              porta. Anna, quante te ne ho fatte passare. Lo so. Non è facile la vita
              con me. Ma finché resisto, il mio lavoro me lo devo assuppàre solo io.

                 Cambio  canale  a  ripetizione.  Tanto  non  c'è  niente.  Mi  aspetta  una
              notte bella lunga. L'insonnia è un muro. Ti puoi inventare il cazzo che
              vuoi. Leggere, contare e spararti tisane a raffica. Il muro se ne sta lì e

              neanche ti guarda.
                 È come durante gli appostamenti. Anche lì il tempo non passa mai.

              Chiuso in macchina tutta la notte. Se accanto hai un amico, un collega
              fidato, non c'è nulla da dire: vi conoscete già troppo. Il silenzio ve lo
              portate tutt'e due da casa. Se invece di fianco hai qualcuno che conosci

              poco,  la  prima  ora  ti  passa  tranquilla  a  discutere  della  famiglia,  dei
              turni, di dove hai prestato servizio. Può capitare di parlare di sport, ma
              è  sempre  notte  fonda  e  dopo  un  po'  ti  rompi  di  discutere  di  undici

              stronzi che guadagnano una barca di soldi e non fanno altro che correre
              dietro a una palla. E così si scivola nel silenzio. Un'ora. Due. Tre. Al
              buio. E allora pensi. Minchia quanto pensi. Guardi la sagoma della villa

              che tieni sotto sorveglianza e ti chiedi che ci stai a fare lì in macchina
              con uno sconosciuto seduto accanto. Pensi a tua moglie sola a casa e ai
              tuoi figli che non conosci. Poi, io penso a mio padre che se n'è andato
              quando ero un ragazzino. E maledico quei bastardi che dormono come

              dei  bambini  dentro  quella  villa  monumentale  davanti  a  me.  E  lì  mi
              viene voglia di scendere dalla macchina e tornare a casa.

                 Domani aspetto una telefonata. Anzi, la telefonata. «A mezzogiorno ti
              chiameranno»,  così  mi  ha  detto.  «Puntualità,  mi  raccomando.»
              Vaffanculo. Più puntuale di così. Sono le undici della sera prima e sono

              già seduto accanto al telefono.
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