Page 15 - Sbirritudine
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vecchi, fimmine, picciotti. Facce bruciate. Occhi disperati. Espressioni
              violente. Vite finite. E intorno a loro, gli altissimi e orribili palazzi che

              infilzano  Palermo  come  spine,  impastati  con  la  merda  mafiosa  e  col
              sangue di persone oneste.

                 Palermo  è  un  carnaio.  È  un  cimitero.  Un  mattatoio.  È  come  la
              Gerusalemme che si vede nei tg. In guerra da sempre. Insanguinata e
              maledetta. Il frutto più maturo della cultura mafiosa. Della mafia che

              consuma la Sicilia e i siciliani. Che divora risorse, uomini, rituali, leggi.
              Che è un cancro del nostro corpo e della nostra mente. Quel peso che ci
              portiamo dentro e che pretende di essere un organo vitale come il cuore,
              lo stomaco o i polmoni. Ma che è tumore. Male tinto. Morte. L'altro

              peccato originale di noi siciliani.

                 Mi  sono  scassato  la  minchia.  Spengo  la  tv  e  mi  alzo  dal  divano.
              Prendo le chiavi della Punto ed esco di casa. Faccio piano, dormono
              tutti. Scendo le scale. Sono fuori. Salgo in macchina, avvio il motore e
              parto.

                 Mi  piace  guidare.  Nella  mia  vita  ho  fatto  milioni  di  chilometri  in

              auto. Prezia. Bonifacio. Trapani. Palermo. Avanti e indietro. Mattina e
              sera.  Non  succedeva  quasi  mai  niente.  Oppure  ti  poteva  capitare  una
              botta di fortuna.




                 Quando  ero  alle  volanti  a  Palermo,  come  ausiliario  ho  fatto  il  mio

              primo  arresto  eccellente.  Ma  lo  sappiamo  solo  io,  il  mio  collega
              Maurizio, un funzionario di Polizia e il diretto interessato.

                 Era la solita giornata passata a girare per i quartieri maliùti della città.
              Poi a chiusura del servizio allestimmo un posto di blocco alla periferia
              est, a Pataniaccio. Io paletta in mano, Maurizio uomo mitra. Fermammo

              prima dei balordi. Documenti a posto. Ma ci bastava fargli vedere che
              eravamo lì, a quelli. Poi stronzate. Fari rotti e cose così. A fine turno
              spuntò una Mercedes bianca. A Pataniaccio? Decisi di fermarla. Istinto

              ingenuo. Alla guida c'era un uomo che pareva si fosse lavato la faccia
              strofinandosela  con  i  cocci  di  vetro,  per  quante  cicatrici  aveva.
              Sembrava un cruciverba con la bocca. Faceva da autista. Dietro di lui

              c'era  seduto  un  damerino  di  cinquant'anni.  Ma  aveva  quegli  occhi.
              Occhi  fermi,  sicuri,  calmi.  Chiesi  i  documenti  a  quello  con  la  faccia
              scartavetrata.  Me  li  diede.  Li  chiesi  al  passeggero.  Pausa.  Mi  rispose
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