Page 253 - Sbirritudine
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suoi  colleghi  stavano  ancora  lavorando:  era  una  specie  di  circo  delle
              meraviglie  che  si  spostava  da  una  città  all'altra.  Donne  bellissime  e

              dispostissime, coca e gioco d'azzardo. Gli confidai che ero incappato
              anch'io in quel giro, a Prezia, tempo prima, ma che mi erano sfuggiti.
              Lui  e  i  suoi,  mi  rivelò,  erano  invece  parecchio  avanti  e  in  tre  giorni
              avrebbero  fatto  irruzione.  Erano  riusciti  a  cimiciare  la  villa  in  cui  si

              svolgevano  i  festini  e  avevano  raccolto  prove  sufficienti,  ma
              aspettavano  ancora  perché  era  venuto  fuori  che  un grosso  latitante  si
              sarebbe  unito  alla  festa. Aspettavano  lui.  Solo  che  entro  tre  giorni  il

              circo si sarebbe spostato, come al solito, e allora sarebbe stato tutto più
              complicato.

                 Se  c'era  un  circo  delle  meraviglie  ad Agrigento,  un  posto  in  cui  si
              giocava pesante e c'erano donne e amicizie altolocate, significava che
              La Grua sarebbe stato lì. Con Spada studiammo la zona: anche stavolta

              il festino si teneva in una villa isolata che si affacciava sul mare. Gli
              accessi erano due: uno con strada asfaltata, l'altro no. La strada sterrata
              era per quelli che non volevano assolutamente rischiare di farsi vedere,
              e anche la possibile via di fuga per tutti gli ospiti in caso di controlli

              della Polizia.

                 Noi ci piazzammo lungo la via asfaltata, a un paio di chilometri dalla
              villa,  per  non  rovinare  l'operazione  futura  ai  colleghi.  A  La  Grua
              piacevano le Porsche Carrera a fondo basso. Sarebbe per forza passato
              di lì. Tirammo fuori la paletta e ci mettemmo in strada, pronti a fermare

              tutte le Porsche. Le prime quattro erano guidate da uomini in là con gli
              anni,  gonfi  di  Viagra.  Avevano  la  minchia  che  gli  scoppiava  nei
              pantaloni  e  gli  occhi  usciti  di  fuori.  Li  lasciavamo  passare  al  volo,

              scusandoci  e  spiegando  che  c'era  stato  il  furto  di  una  Porsche  e  che
              dovevamo controllare.

                 Alla decima Porsche avevamo perso le speranze, ma sull'undicesima
              c'era lui, La Grua. Rallentò. Troppo, come un bravo ex galeotto. Aveva
              paura. Gli feci segno con la paletta di venire avanti. Mi avvicinai e gli

              indicai di abbassare il finestrino. Portava i capelli lunghi e ricci, pareva
              che avesse la permanente. Occhiali tondi, faccia piatta, naso a uncino.
              Aveva gli occhi spiritati, ma non era fatto di coca. Era uno che pensava

              a mille cose contemporaneamente, si vedeva: un sistemista col cervello
              al massimo dei giri.

                 «Antonio La Grua?»
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