Page 249 - Sbirritudine
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sempre in qualche scògnito paesino della riviera adriatica o delle
Langhe o della Sardegna. Questo faceva lo Stato con tutti i Canepa: li
rapiva la notte, li caricava in segreto su una aereo e li buttava via
lontano. Come facevano con i desaparecidos.
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L'indomani, vicino al mare, venne trovato nella sua auto, crivellato di
colpi, il cadavere di Agatino Tortorici.
Ormai Prezia era diventata un campo di battaglia. Dietro gli scontri
c'era Bellingeri, lo sapevo: stava facendo pulizia. Ma non riuscivo a
vedere la linea che collegava tutte quelle morti, sembrava non ci fosse
nessun disegno. Una cosa era certa: solo un capo assoluto come
Bellingeri avrebbe potuto ammazzare un altro capo assoluto come
Agatino Tortorici. Ma perché l'aveva fatto?
Quando con Spada arrivammo sul posto, i colleghi dell'investigativa
erano già lì. “I titolari”, li chiamavamo così io, Cripto e Spada. Noi
eravamo diventati gli eterni panchinari, mentre loro giocavano il
campionato di serie A. Stavano già concludendo i rilievi generici, dopo
che la scientifica aveva prelevato le solite cose: impronte, mozziconi di
sigarette, capelli. I titolari non ci degnarono nemmeno di uno sguardo, e
Mistretta fece una faccia come a dire: “Ma che minchia siete venuti a
fare qui? Statevene in ufficio che è meglio”.
Il corpo del boss era coperto da un lenzuolo. Lo sollevai per vedere
come lo avevano ridotto: tre colpi al petto, questo era tutto. I sicari
mandati da Bellingeri avevano avuto rispetto di uno come Tortorici.
Omicidio pulito, niente proiettili in faccia. Gruppo di fuoco di primo
livello.
Andai al suo funerale, per vedere chi si sarebbe presentato. Poca
gente. Cerimonia sobria. C'erano la moglie, i figli con le mogli e
qualche altro parente. Nessuno di peso appartenente a Cosa Nostra:
c'era una guerra, chi sarebbe stato così pazzo da mettere il naso fuori di
casa? Se ne stavano tutti rintanati: chiunque poteva essere il prossimo.
Feci passare altri due giorni, poi andai a trovare Pino Tortorici nel