Page 248 - Sbirritudine
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estorsori e, soprattutto, avevamo provato di possedere intuito e capacità
              investigativa. Quindi che se ne andasse a fare in culo, se non capiva che

              anche  con Tortorici  avevamo  agito  per  il  meglio.  Il  dirigente  dovette
              ingoiare il boccone.

                 Rimasti  soli,  Spada  mi  prese  per  le  spalle  e  mi  urlò  di  spiegargli
              perché  avevo  agito  così.  Gli  dissi  che  arrestando  Pino  Tortorici  gli
              avevamo salvato la vita, e io glielo dovevo.

                 Il lunedì successivo, giorno di chiusura del supermercato, la famiglia
              Canepa partì per un viaggio in macchina, direzione Palermo. Nei giorni

              precedenti  avevano  spostato  poco  alla  volta  vestiti  e  oggetti  nelle
              scatole  del  magazzino  del  supermercato.  Un  furgone,  la  domenica,
              aveva  caricato  quegli  anonimi  pacchi  e  li  aveva  portati  in  un  posto

              sicuro, da cui noi li avremmo poi prelevati.
                 A  Palermo,  i  Canepa  cambiarono  auto  e  proseguirono  il  viaggio

              scortati da un'auto civetta. Giunti all'aeroporto di Catania, trovarono me
              ad  aspettarli.  Volo  per  Roma;  poi,  da  lì,  si  sarebbero  diretti  verso  la
              costiera adriatica. Verso la loro nuova vita. Prima di imbarcarsi, Canepa

              mi strinse la mano e mi ringraziò. Gli risposi che ero io che gli dovevo
              qualcosa, e che non mi sarei mai dimenticato di lui.

                 «Lei è un vero uomo» dissi, «non lo dimentichi. Lei ha più coglioni
              di tutti i mafiosi messi insieme. Più di tutti i poliziotti e i carabinieri
              d'Italia.»

                 Era colpito dalle mie parole, forse pensava che stessi esagerando. Ma
              io  lo  pensavo  davvero:  era  davvero  uno  con  le  palle,  uno  che  aveva

              affrontato Cosa Nostra da solo.
                 Poi la moglie mi abbracciò e mi chiese piano, all'orecchio: «Quando

              potremo tornare?».
                 «Presto» le risposi. Ma sapevo che non era vero. Li guardai superare i

              metal  detector.  Si  voltarono  tutti  e  quattro  e  ci  salutarono. Anche  le
              bambine, che ancora non capivano, ma lo avrebbero fatto, prima o poi.

                 Era così che noi risolvevamo i problemi della gente: mandandola via.
              Ogni  volta  che  lo  facevamo  la  percentuale  degli  onesti  diminuiva  e
              aumentava  quella  dei  mafiosi,  dei  corrotti,  dei  ladri,  degli  assassini.

              Sapevo che avremmo preso Reina e Muro, e forse anche qualcun altro
              della loro banda, ma sapevo anche che sarebbero usciti. Per un cavillo.
              Per uno sconto. Per una qualche minchiata inventata dai loro avvocati.

              E poi sarebbero tornati a Prezia, mentre i Canepa sarebbero rimasti per
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