Page 250 - Sbirritudine
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carcere di Palermo: era arrivato il momento di fargli le condoglianze.
Avevo aspettato perché sapevo che avrebbe ricevuto la visita di decine
fra magistrati, poliziotti e carabinieri. Avrebbero cercato di farlo
parlare, di spiegargli che se avesse collaborato l'avrebbe scampata.
Senza capire che era stato il mio arresto a salvargli davvero la vita.
Ci ritrovammo faccia a faccia in una saletta buia; mi bastò
un'occhiata per capire che a tutti quelli che erano venuti a domandargli
qualcosa aveva risposto di no.
Mi porse la mano e disse: «Grazie. Ora ho capito quello che hai
fatto». Aveva gli occhi lucidi. Aveva resistito per giorni al pianto e tutte
le lacrime gli erano rimaste dentro, ma non ne sarebbe mai uscita
nessuna. Si sarebbero seccate da sole.
«Ti faccio le condoglianze per tuo zio» dissi.
Abbassò lo sguardo. Uno come lui non lo faceva mai: significava che
apprezzava le mie parole e che davanti alla morte di suo zio anche lui
doveva calare la testa. Feci lo stesso. Rimanemmo in silenzio.
«Sono venuti molti dei tuoi a chiedermi di collaborare» fece lui, dopo
un po'.
«Ma tu gli hai detto che non sei interessato.»
«Lo Stato è la mano destra e Cosa Nostra è la sinistra» rispose.
«Come può la destra non sapere cosa fa la sinistra?»
«Che vuoi dire?»
«Tutte queste morti non sono soltanto opera di Bellingeri.»
Rimasi in silenzio. Che intendeva?
«Tu mi hai salvato la vita» disse Tortorici, «ora sono in debito con
te.»
«Nessun debito» risposi.
«A me non interessa niente di me» continuò, «so badare a me stesso.»
Mi stava avvertendo? «C'è un contratto a mio nome?» chiesi.
«Sì.»
«Anch'io so badare a me stesso.»
Lui mi sorrise. «Io ormai non posso fare più molto da qui, ma c'è
qualcuno che potresti andare a trovare. È uno che ha dei conti da
regolare con Bellingeri, l'ho incrociato qui dentro ma adesso è uscito.
Gli ho parlato di te. Gli ho detto che di te ci si può fidare.»