Page 242 - Sbirritudine
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Lui  mi guardò sorpreso.  «Lei è una brava persona» gli dissi, «e le
              brave  persone  non  possono  combattere.  Ci  possono  provare,  ma  alla

              fine  perdono.  Sempre.»  Non  capivo  perché  mi  stessi  confidando  con
              quell'uomo.  Era  un  uomo  qualunque,  anonimo,  piccolo,  pauroso.  Ma
              era come se mi stessi rivolgendo a tutti quelli come lui: erano quelli che
              provavo  a  difendere,  e  stavo  chiedendo  loro  scusa,  perché  li  stavo

              mollando  al  loro  destino.  Volevo  che  fosse  mio  complice
              nell'abbandono:  non  era  giusto  dirgli  quelle  cose,  ma  erano  l'unica
              verità che potessi sostenere.

                 «Addio» conclusi, e me ne andai. Tornato in commissariato spiegai a
              Spada che Canepa non ci avrebbe detto niente. La cosa finiva lì, anche

              quel caso era chiuso. Lui insistette, mi chiese perché avessi rinunciato
              così. Gli raccontai che avevo dato a Canepa la possibilità di scegliere,
              che gli avevo dato un appuntamento, ma che non si sarebbe presentato.

              Questa volta fu lui a capire, intuì che avevo mollato. Cripto uscì dalla
              stanza  e  lo  sentimmo  prendere  a  pugni  una  porta.  Spada  era  troppo
              giovane per farmi un discorso: non c'erano parole per quello che mi era
              successo, e lui lo sapeva.

                 Me ne andai a casa, a Bonifacio. Iniziai a svuotare gli armadi, misi

              tutti i vestiti sul letto. Poi girai per le stanze: i mobili erano ancora in
              buono stato, ce li saremmo portati. Il tavolo del soggiorno no. Quello
              non mi era mai piaciuto, ne avremmo comprato uno nuovo. Il divano,
              invece,  sarebbe  venuto  con  me  al  Nord…  Quante  notti  ci  avevo

              dormito,  dopo  le  litigate  con Anna  a  causa  del  lavoro. Avrei  litigato
              ancora con lei. Meno intensamente, per altre cose, ma sarebbe successo.
              Mi sentivo strano, leggero, era come se fossi tornato a respirare. Capii

              come si doveva essere sentita mia moglie.
                 Era la fine. Sì, la fine. Mi feci un piatto di pasta, poi mi sedetti sul

              divano  e  mi  addormentai.  Quando  riaprii  gli  occhi  era  buio,  il  mio
              cellulare stava squillando. Era Spada.

                 «Pronto?»

                 «Sono stato da Canepa, al supermercato. Era lì, ti aspettava. Mi ha
              raccontato tutto. Vuole che lo aiutiamo.» Non riuscivo più a respirare.
              Era  come  se  un'enorme  peso  mi  fosse  calato  di  nuovo  addosso,

              schiacciandomi il petto e serrandomi lo stomaco.
                 «Mi senti?» ripeteva Spada. «Che facciamo?»
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