Page 240 - Sbirritudine
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faccia contro quello stesso muro che avevo cercato di abbattere per tutta
              la vita.

                 La sera convinsi Spada a portare a casa anche quel lavoro. Era una
              storia  di  pizzo?  Bene.  Era  forse  una  minchiata?  Noi  dovevamo

              controllare. Chi se ne fotteva del dirigente che ci trattava come delle
              minchie di mare. «Facciamo il nostro dovere» dissi. «Se ci mettiamo a
              ragionare  come  loro  facendo  discorsi  di  casi  importanti  e  meno

              importanti ci abbassiamo al loro livello. E il loro livello non è quello
              dei buoni poliziotti.»

                 Spada lanciava pietruzze in acqua, poco convinto del mio discorso.
              Cripto se ne stava immobile in piedi. Dopo anni di fatica, ormai non ce
              la faceva più a mangiare merda. Ci disse che era stanco e che aveva

              voglia di tornare a casa. Spada gli chiese un passaggio, così io restai
              solo sulla spiaggia. Chiamai mia moglie.

                 «Dormivi?»
                 «Sì.» Erano le due di notte.

                 «Va  bene»  le  dissi,  «chiedo  il  trasferimento.  Andiamo  a  stare  al
              Nord.»

                 Lei scoppiò a piangere, non la finiva più.

                 «Ma devi darmi un po' di tempo» continuai. «Almeno un altro mese,
              forse qualcosa in più.»

                 Disse di sì. Rispose che sì, che per lei andava bene. Che mi avrebbe

              aspettato. Sapeva quanto mi stava costando quella decisione.
                 Dopo  aver  riattaccato  rimasi  a  guardare  il  mare.  Nero.  Buio.  Era

              calmissimo. Avrei chiuso l'ultimo caso e poi basta, era la cosa giusta da
              fare. Avevo perso, ma avevo combattuto. L'indomani, in commissariato,
              non dissi nulla: Cripto era giù, Spada si sentiva tradito. Li convinsi a

              verificare  quella  denuncia.  Non  eravamo  tipi  da  stare  in  ufficio  a
              guardarci in faccia e a lamentarci, eravamo sbirri dalla pelle dura.

                 Chiamammo Luigi Canepa, il titolare di un piccolo supermercato. Era
              stato  lui  a  denunciare  la  tentata  estorsione  ai  suoi  danni,  solo  che
              l'aveva  fatto  in  maniera  strana.  Aveva  parlato  con  uno  dei  colleghi

              nuovi, mettendo a verbale che un paio di tizi che conosceva gli avevano
              proposto,  in  amicizia,  di  rifornirsi  di  merce  da  un  terzo,  uno  che  gli
              avrebbe  fatto  un  buon  prezzo  su  svariati  generi  alimentari.  Che
              denuncia era? Canepa ci teneva a farci sapere che aveva degli amici che
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