Page 237 - Sbirritudine
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dovevo cercare? Non era possibile, no. Il problema stava fuori, era
qualcuno più in alto. Lo stesso questore sapeva tutto dell'operazione, e
con lui chissà quanti altri.
Lasciai Cripto a casa, mi infilai in autostrada e iniziai a correre. Mi
dovevo sfogare: troppa rabbia. Spensi gli anabbaglianti e le luci di
posizione. Centoventi. Centotrenta. Centoquaranta. Chiusi gli occhi.
Centocinquanta.
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Centosessanta. Anche ora corro, sulla statale verso Agrigento. Ma
stavolta è giorno. I braccianti sono nei campi, i camion trasportano
ortaggi, la gente guida per andare al lavoro. E il sole continua a scorrere
salendo dietro di me. Inseguendomi, come la lancetta di un enorme
orologio.
Per superare un ingorgo imbocco una stradina stretta piena di buche,
e mi ritrovo in aperta campagna. Terreni, vigne, grano. Dei contadini si
aggirano tra le colture, deformati dalla fatica. Una vita intera chinati
con la faccia tra le zolle: sono loro i veri siciliani. Quelli che scavano,
arano, piantano, coltivano la Sicilia, mentre intorno la gente ruba,
tradisce e si uccide. Loro sono rimasti sempre uguali: sono gli eterni
guardiani dell'isola. Uno molto anziano alla mia destra solleva lo
sguardo e mi osserva attraverso un filare di vigne. Poi si alza in piedi.
Occhi immobili, faccia ferma: pietra e lava e terra e sale. Indecifrabile,
come una montagna. Me lo lascio alle spalle, sollevando una tempesta
di polvere. Nello specchietto retrovisore osservo quella nuvola che
copre tutto: il contadino, i campi, la strada.
Dopo la telefonata misteriosa che aveva avvertito Bellingeri era come
se fossimo finiti in una tempesta di polvere e sabbia. Non si vedeva più
niente, non capivamo più niente. Convinsi quelli della catturandi a
tenere d'occhio la Tranchina, ma soprattutto Piscitello. Entrambi erano
legati a doppio filo al boss: era stato Piscitello a consegnare la collana
regalata da Bellingeri alla donna, quindi il boss si fidava di lui.
I colleghi ne parlarono con il magistrato, e passò altro tempo. Quando