Page 232 - Sbirritudine
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solari… ma il boss non chiamava. Il cellulare che usava per parlare con
              l'amante  era  sempre  staccato.  Il  magistrato  non  voleva  dare

              l'autorizzazione a tenere sotto controllo entrambe le zone in cui avevo
              localizzato  la  sua  presenza  perché  si  trattava  di  aree  troppo  vaste.
              Serviva  qualche  elemento  in  più  e,  soprattutto,  serviva  che  il  boss
              chiamasse di nuovo la sua donna.

                 A  Palermo,  intanto,  gli  appartenenti  alla  famiglia  Tasca  venivano

              decimati. Uno alla volta. Un ambulante, soldato della famiglia, venne
              freddato vicino lo stadio in pieno giorno. Il proprietario di un bar, anche
              lui  affiliato  al  clan,  all'uscita  dal  barbiere.  Bellingeri  aveva  deciso  di
              cancellarli dalla faccia della terra.

                 I ragazzi della catturandi stavano sempre insieme, erano un gruppo

              coeso, e Cripto iniziò a frequentarli anche la sera. Io, invece, cercavo di
              starmene per conto mio. Mia moglie era incinta: questo pensiero non mi
              lasciava mai. Anna mi aveva detto che ci aveva pensato a lungo prima
              di  dirmelo,  ma  aveva  capito  che  quello  era  un  segno,  e  voleva

              riprovarci con me. E poi le mancavo e mancavo a nostro figlio. Era a
              Roma  da  una  sua  amica,  lontano  dalla  Sicilia  aveva  respirato. Aveva
              detto così: «Qui ho respirato. Qui è diverso. La gente non sa che cosa

              sia  la  mafia,  e  non  gliene  importa  nulla.  È  una  città  bellissima,
              enorme…».  Io  la  ascoltavo.  Roma,  un'altra  vita.  Me  la  immaginavo
              girare con nostro figlio, che guardava il Colosseo e i Fori e sgranava gli
              occhi. E io me l'ero perso.

                 D'altronde,  non  ero  mai  davvero  stato  con  mio  figlio.  Le  prime

              parole, i primi passi, tutte le prime volte mi erano sfuggite. Conoscevo
              meglio le prime volte dei figli dei mafiosi che quelle del mio. Avevo
              sentito le prime parole del primogenito di Francesco Licata quando gli
              avevamo cimiciato l'appartamento. Le avevo sentite io: sua madre era

              in un'altra stanza e suo padre era latitante. E io lo avevo sentito dire:
              «Palla». Ma non avevo idea di quale fosse stata la prima parola di mio
              figlio. E ora? Anna era incinta. Volevo perdermi di nuovo tutte le prime

              volte?  Lei  voleva  ricominciare,  ma  aveva  messo  dei  paletti:  dovevo
              chiudere  con  il  lavoro,  basta  Prezia.  E  dovevamo  andare  via  dalla
              Sicilia.  Mi  ero  avvelenato,  diceva,  dovevo  fare  domanda  per  il

              trasferimento al Nord. Da Roma in su, qualunque posto andava bene. E
              poi  avremmo  dovuto  passare  molto  tempo  insieme,  dovevamo
              viaggiare. Mi raccontò della sua amica e del marito: aveva visto le foto

              dei loro viaggi in giro per l'Europa, sempre uniti, sempre sorridenti. Mi
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