Page 231 - Sbirritudine
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«La  fiducia  è  la  prima  cosa»  disse  Garofalo.  «Oggi  sono  stato  dal
              magistrato  e  quello  non  ci  voleva  credere  che  io  avessi  trovato

              Bellingeri. Era senza parole, si è quasi incazzato con me. Continuava a
              chiedermi  come  avevo  trovato  il  numero  della  donna…  E  allora  ho
              capito che non mi credeva capace di far bene il mio lavoro. E ho capito
              che nessuno lo pensa. Neanche tu lo pensi. Mi hai imbrogliato, mi hai

              detto che ti fidavi di me e non è vero.»

                 Non sapevo che rispondere. Era completamente sfarfallato. Non so da
              dove mi venne l'idea di gridare, ma lo feci. «Smettila!» urlai. «Finiscila
              di  piangerti  addosso.  Se  credi  che  gli  altri  non  ti  ritengano  capace,
              allora impegnati di più. E se non basta, sforzati ancora!»

                 Mi  sentivo  un  padre  con  un  figlio.  Urlavo  così  forte  che  il  pazzo

              sembravo  io.  Ma  quell'atteggiamento  autoritario  aveva  avuto  effetto:
              Garofalo sembrava essersi svegliato. Si guardava intorno stupito, come
              se non capisse come fossimo finiti lì. Poi vide la pistola che teneva in
              mano. E scoppiò a piangere. Andai da lui e lo abbracciai, tremava come

              un capretto appena nato. «Tranquillo» gli dicevo, «ora passa.»

                 Tornammo in commissariato, guidai io. Gli assicurai che ora le cose
              sarebbero andate diversamente e che avevo capito i miei errori nei suoi
              confronti. Lui mi calava la testa, convinto. Lo lasciai a casa e mi tenni
              la sua auto e la sua pistola.

                 Mentre  rientravo  al  commissariato  mi  squillò  il  telefono:  quella

              giornata non voleva finire. Era mia moglie. Risposi eccitato, dissi che le
              chiedevo scusa, che ormai era quasi finita e che presto io e lei… ma mi
              interruppe: «Stai zitto e ascoltami. Sono incinta».




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                 In  un  paio  di  giorni  la  catturandi  aveva  dirottato  le  intercettazioni
              negli uffici di Palermo. Servizio continuo, uomini preparati. Il loro capo

              era un vero comandante. Restammo impressionati dalla professionalità
              della squadra: erano come noi, ma erano tanti. Io e Cripto viaggiavamo
              tra  Palermo  e  Prezia  continuamente.  La  Tranchina  stava  al  telefono
              tutto il giorno con le amiche: parlava di capelli, unghie, vestiti, lettini
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