Page 217 - Sbirritudine
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«Fino in fondo» risposi.
«Allora le posso dire che è molto vicino. Si ricorda di quando è
andato a fare un'ispezione a casa di mio zio?»
«Sì. Mi ci aveva mandato la Patania, appena si era insediata, senza un
motivo.»
«Sa perché le è stato ordinato di farlo?»
«No» replicai.
«Perché Bellingeri voleva una dimostrazione di fedeltà e voleva
capire quanto la Patania fosse in grado di gestire lei.»
Ecco perché quella fretta nel mandarmi a casa di Agatino Tortorici: la
Patania stava eseguendo degli ordini.
«Lei non si fida più di Bellingeri?» domandai. Dovevo provare a
stanarlo.
«No» rispose, «anche se sarebbe meglio dire che è lui che ha iniziato
a non fidarsi più di me.»
Ma come, proprio lui, Pino Tortorici, un mafioso di alto lignaggio,
considerato un futuro capo, era stato fatto fuori? Cosa intendeva quando
diceva che il boss aveva iniziato a non fidarsi più di lui? Era stato prima
o dopo che aveva fotocopiato il dossier di Rizzitelli e Patalèo?
«Io non sono un traditore» esclamò, gettando il mozzicone della
sigaretta a terra. Lo schiacciò con il piede, con insistenza, come se
volesse triturare un pensiero che lo tormentava. Era un uomo sul punto
di cedere, ballava sopra il precipizio. Arrivò una folata improvvisa di
vento.
«A che pensi?» Passò al tu. Buon segno.
«A quanto è difficile» risposi.
«È vero, è difficile» concordò lui.
«Quel cimitero, quello sulla Roma-Napoli… non è detto che tu ci
debba finire presto. Forse hai una via d'uscita.»
Lui mi guardò e capii di aver fatto centro: aveva paura che Bellingeri
volesse ammazzarlo da un momento all'altro. Il boss non aveva perso la
fiducia in lui, aveva deciso di farlo fuori e basta. Se lo voleva asciugare
perché era invidioso di lui. Andava dicendo che Pino era il suo erede,
ma in realtà lo voleva ammazzare. Per farlo, però, doveva prima far
fuori suo zio: neanche uno come Bellingeri poteva fare uno sgarbo ad