Page 212 - Sbirritudine
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abitazioni, li pedinavamo con discrezione, chiedevamo regolarmente di
              loro ai nostri informatori. Ma da quando erano tornati, e ormai erano

              passati  sei  mesi,  né  Mimmo  né  Pippo  avevano  dato  segno  di  volersi
              rimettere a delinquere. Anzi, Mimmo si era pure trovato un lavoro in
              una salumeria. L'ultimo controllo risaliva a quando Pippo era appena
              atterrato da un viaggio in Olanda. Mimmo lo era andato a prendere in

              aeroporto e noi li avevamo beccati poco dopo lo svincolo per Prezia. La
              valigia di Pippo, però, conteneva solo vestiti sporchi e alcune magliette
              nuove, con l'etichetta ancora attaccata. Per come la vedevo io, i due per

              ora si comportavano degnamente. Cripto, con cui ne avevo parlato, era
              d'accordo, tanto che da un paio di mesi avevamo deciso di allentare i
              controlli periodici.

                 Eppure, Garofalo era convinto che i due amici avessero rimesso in
              piedi un giro di spaccio. Da che cosa lo desumesse era un mistero. Mi

              sventolava sotto il naso i dossier e insisteva sostenendo che il viaggio in
              Olanda di Pippo, il lavoro come salumiere di Mimmo e i sei mesi di
              apparente  tranquillità  dei  due  erano  tutti  fatti  che,  collegati,
              significavano  una  cosa  sola:  dovevamo  intervenire  per  fermarli.  Non

              riuscivo a mettermi una faccia seria, lo guardavo e mi veniva da ridere.
              Pareva  invasato,  chiaramente  era  sfasato.  Quando  Cripto  entrò  nella
              stanza, Garofalo attaccò anche con lui. Alla fine, per cercare di zittirlo,

              gli chiesi che cosa intendesse fare per gestire al meglio la situazione.
              Lui mi sorrise.

                 «Stasera.  Anzi,  stanotte.  Vediamoci  qui  alle  ventidue  in  punto,
              facciamo  un  briefing  veloce.  Mezz'ora.  Poi  andiamo  a  casa  loro  e  li
              staniamo.»

                 «Ma  non  abbiamo  niente  in  mano»  sussurrò  indisponente  Cripto.
              Minchia, non l'avesse mai fatto. Garofalo ricominciò con la sua teoria

              del complotto. Tutto, nella vita di Mimmo Giosito e Pippo Clemente,
              era collegato con tutto. Se non lo accontentavamo era capace di arrivare
              a  dire  che  Pippo  e  Mimmo  erano  i  veri  capi  della  mafia,  che

              muovevano le fila di un governo ombra e che avevano contatti pure in
              Vaticano. Dissi a Cripto che forse il nostro dirigente aveva ragione. Lui
              non ci poteva credere, ma gli feci segno di lasciarmi parlare. Alla fine ci

              organizzammo per quella sera.
                 Alle dieci mi incontrai con Cripto e Casco. Alle dieci e un secondo si

              aprì  la  porta  dell'ufficio  dell'investigativa  e  apparve  Garofalo:
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