Page 216 - Sbirritudine
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indietro, infilandomi tra le vie antistanti il porto. Ormai era quasi ora.
              Guidai  verso  Mondello,  attraversai  il  parco  della  Favorita  e  poi

              imboccai  la  salita  che  costeggiava  il  Monte  Pellegrino.  La  via  era
              deserta.

                 Dopo  una  serie  di  tornanti  scivolai  dentro  la  galleria  dove  si
              rintanavano tutte le coppiette di frodo palermitane: come ogni sera, in
              circa trecento metri erano allineate, su entrambi i lati, file di auto con

              vetri  e  finestrini  oscurati  da  fogli  di  giornale.  In  ogni  auto  c'era  una
              storia di corna, infedeltà, tradimenti e passione.

                 Superai le ultime curve e mi ritrovai sulla lunga salita che portava al
              santuario di Santa Rosalia. Girai a sinistra e risalii l'ultimo tratto fino
              all'enorme  piazzale  in  cima  alla  montagna.  Il  cielo  era  coperto,  ogni

              tanto si sentiva un tuono. Non c'erano auto. Spensi i fari, posteggiai e
              scesi. Quando sentii una macchina avvicinarsi, d'istinto portai la mano
              alla pistola. Chi guidava la macchina lo notò e mi lampeggiò: era Pino
              Tortorici.  Uscì  dall'auto  e  mi  fece  cenno  di  seguirlo  fino  in  fondo  al

              parcheggio, dove c'è la piccola rampa di scale che conduce al punto più
              alto del monte. Si vedevano le luci di Palermo da una parte e quelle di
              Mondello dall'altra. Sembrava di essere sulla prua di una nave.

                 Sapevo  che  a  parlare  per  primo  doveva  essere  Tortorici:  io  avevo
              lanciato l'amo, ma era stato lui a strattonarlo. Si accese una sigaretta e

              aspirò  a  fondo  la  prima  tirata,  come  se  prendesse  una  boccata  di
              ossigeno  dopo  essere  stato  in  apnea.  Lì  in  cima,  eravamo  lontani  da
              tutto.  Dalla  Sicilia,  da  Cosa  Nostra,  dallo  Stato.  Io  e  lui,  un  uomo

              d'onore e un poliziotto. Il futuro boss di una cosca tra le più potenti, con
              decine di aziende sparse in Italia e milioni investiti in borsa e uno sbirro
              senza famiglia, amici e referenti, che dormiva in uno scantinato. Lui in
              giacca  e  cravatta,  elegante,  uno  che  poteva  alzare  il  telefono,  parlare

              con chiunque e ottenere all'istante quello che voleva. E io che avevo già
              perso tutto non sapevo più quante volte.

                 «Che cosa vuole da me?» mi chiese.

                 «Gliel'ho detto, che lei mi aiuti a evitare una guerra.»

                 Mi sorrise. «Li ha ricevuti i candelotti di dinamite?»
                 Lo guardai. Era stato lui?

                 «No, non sono stato io» disse, leggendomi nel pensiero, «ma so chi è
              stato.»  Fece  una  lunga  pausa  prima  di  continuare.  «Dov'è  che  vuole

              arrivare davvero?»
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