Page 211 - Sbirritudine
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Guardo l'isola di Ortigia che galleggia ancorata alla Sicilia.
Le barche dei pescatori sciamano silenziose verso il porticciolo come
api intorno a un favo. Il sole sta salendo, ma è ancora così rasente che
sembra soffiare via le ombre dalle cose.
Un vento improvviso mi investe come il suono di una sveglia.
Devo lasciare Siracusa. È tempo di tornare a casa.
Rientrato a Prezia, mi ritrovai Garofalo da baliàre. Aveva passato gli
ultimi giorni a leggersi i faldoni dei vecchi casi e i fascicoli delle
operazioni ancora in corso. Se ne stava rintanato nella sua stanza e non
parlava con nessuno. Finalmente, dopo una settimana, si decise a
riemergere dal mare di carte e mi annunciò di aver capito tutto di
Prezia. Non mi diede neanche il tempo di fiatare che si mise a
spiegarmi la sua strategia di azione per fermare il crimine e dare una
batosta ai mafiosi. Dopo una strampalata lezione di criminologia
applicata, tirò fuori due nomi: «Giosito e Clemente, partiremo da loro».
Io non sapevo che dire. Giosito e Clemente erano due pregiudicati,
usciti di galera e ristabilitisi in paese, che per un po' di tempo avevamo
tenuto sotto controllo. I due erano stati soci in numerosi furti ed erano
stati coinvolti in un giro di spaccio di medio calibro – marijuana, più
che altro. Mimmo Giosito era skipper, o almeno così diceva in giro. In
realtà era stato imbarcato sulle navi cargo da ragazzo e quindi, nella sua
testa, era diventato un commodoro. L'altro, Pippo Clemente, parlava
male quattro lingue e millantava talmente tanti quarti di nobiltà che,
fatta la somma alla buona, risultava essere minimo minimo il
pretendente al trono d'Inghilterra. I due insieme ne avevano combinate
tante: l'ultima, per cui si erano beccati quasi otto anni di galera, era
traffico internazionale di sostanze stupefacenti. Erano passati alla coca,
Mimmo e Pippo. Quando, finita di scontare la pena, erano tornati a
Prezia, li avevamo attenzionati. Tenevamo d'occhio i dintorni delle loro