Page 205 - Sbirritudine
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quella situazione, mi sembrava penosa per Garofalo, prima ancora che
per noi. Pure il piantone di notte – detto “Simpatia” per quanto era
respingente – e Costa dell'archivio – mezzo sciroccato e intrattabile,
arraggiàto dalla mattina alla sera – guardavano Garofalo con pietà e
commiserazione.
«Va bene» esclamai, un secondo prima di scoppiare, «adesso vorrei
dire due parole al nostro dirigente.»
Mi guardarono tutti, io li fissai di rimando e loro uscirono. Garofalo
pareva soddisfatto. Di cosa, non lo riuscivo a capire. Ora eravamo soli.
«Ho sentito tanto parlare di te» mi disse.
«Bene» risposi.
«Io ho molta esperienza sul campo, e tu ne hai abbastanza. Quindi
insieme potremo fare grandi cose.» Non capivo se mi stava prendendo
per il culo o se diceva vero.
«Insieme?» chiesi.
«Io e te. Aggiornami sulle indagini in corso. Io seguo molto
l'intuito…»
«Io no. Sono un tipo preciso, uno da archivio» risposi ironico.
«Ah, no, io sono dinamico. Sai quali sono le mie tre parole d'ordine?
Azione, azione, azione!»
«Ah» mormorai.
«Bisogna agire!» urlò, chissà perché.
Bisogna agire. Eccome: primo mandandoti affanculo, pensai.
«Mi studio i casi aperti» continuò lui, «mi prendo un paio di giorni
per acclimatarmi e poi facciamo un po' di pulizia. Che ne dici?»
«Come no. Ai suoi ordini.»
Era contento come un piccirìddo, pareva che gli avessero regalato
l'uovo di Pasqua con la sorpresa. Uscii dalla stanza e scoppiai a ridere.
Avevo voglia di dare una testata al muro, ma era meglio prenderla a
ridere.
Passai il resto della giornata a ricontrollare il fascicolo di Pino
Tortorici. Quando gli altri se ne andarono erano le nove. Mi andai a
prendere una pizza e, tornando in commissariato, incrociai Garofalo che
stava uscendo. Però, pensai, fa sul serio.
«Torna al lavoro?» mi chiese.