Page 197 - Sbirritudine
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«Dolci? Perché li avete portati?».

                 «Sono per lei. Li apra.»
                 «Che  gentile.  La  ringrazio,  ma  non  ho  ancora  finito  di  mangiare»

              disse, sempre sbruffone.

                 «E invece ha proprio finito. Ha finito di mangiare almeno per qualche
              anno. Coraggio, li apra. Non conosco i suoi gusti e ho preso di tutto. Ci
              sono pure i cannoli, quelli le devono piacere per forza.»

                 Lui mi fissava: «Ma di che sta parlando? Che sta dicendo?».

                 Mi avvicinai al tavolo. Scartai il vassoio, presi un cannolo e glielo
              ficcai a forza in una mano: «Prego».

                 Lui lo afferrò male, spezzò la crosta e gli si spappolò tra le mani. La
              ricotta gli cadde sulle scarpe e finì sul pavimento.

                 «Che peccato» esclamai. «Vabbe', fa niente. Non si preoccupi, non mi
              offendo.»

                 Tirai fuori dalla tasca il mandato e glielo porsi. Lui provò a pulirsi la
              mano imbrattata di ricotta passandosela sui pantaloni e sul  maglione.

              Era nel panico. Prese il foglio e, quando iniziò a leggere, la sua faccia
              sbiancò. Ora pure lui era in tinta con l'arredamento.

                 «Aveva ragione» continuai, «lei mi aveva avvertito. Mi aveva detto
              che sono come un mulo che sbatte sempre contro lo stesso muro. Però
              vede che alla fine il  muro è  caduto? Ora  mi risponderà che questa è

              democrazia?  Che  lei  può  fare  quello  che  vuole?  Lei  è  bravo  con  le
              parole. Che cosa può dire ora? Lei se ne va in galera. Lei è colpevole.
              Lei  e  gli  amici  suoi.  Li  stiamo  arrestando  tutti,  in  questo  preciso

              momento. Anche suo nipote, la giovane promessa della politica.»
                 Calafiore era muto. Andai al tavolo e presi un cannolo. Me lo infilai

              in  bocca  per  metà  e  lo  assaporai  chiudendo  gli  occhi.  Con  la  bocca
              impastata  di  ricotta,  cioccolato  e  zuccata,  gli  sorrisi.  «Auguri»  dissi,
              sputacchiando cocci di cialda e zucchero a velo. Feci segno a Cripto,

              che gli mise le manette. Calafiore teneva gli occhi bassi. Li sollevò solo
              quando si girò a dare un'ultima occhiata al suo salone, immenso, bianco
              e splendente.

                 A fine giornata avevamo effettuato ventiquattro arresti: tutta la Prezia
              bene.  Mi  sentivo  un  padreterno.  Chiamai  Spada  e  gli  dissi  che  gli

              dovevo un favore. Anche stavolta i giornali tennero gli occhi voltati da
              un'altra parte, ma non me ne fotteva niente. Qualche giorno dopo, fuori
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