Page 192 - Sbirritudine
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quei fogli di carta e mi scattò una foto. Disse che l'avrebbe data ai
giornalisti, per l'articolo che avrebbero scritto su di me. Ma stavolta non
me ne fregava niente che i giornali parlassero della cosa. Non dovevo
dare conto e ragione a Loredana e a Milena, stavolta me la volevo
vedere da solo con Calafiore. E pregustavo il momento in cui sarei
andato da lui a notificargli il mandato.
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Davanti all'elefantino, in piazza Duomo, anche le ultime comitive
stanno sbaraccando. Le auto partono e resto solo anche qui. Una
campana suona, si alza il vento. Mentre torno alla macchina, vedo la
saracinesca di un panificio aperta a metà. La giornata di lavoro per loro
è già cominciata. Salgo a bordo, ingrano la prima. In qualche minuto
raggiungo il lungomare: le spiagge di lava, le auto che sfrecciano, le
onde. Sento ancora l'odore del pane caldo e mi torna l'acquolina in
bocca. Come quando mi beavo davanti ai mandati di cattura, negli
uffici dell'investigativa di Prezia.
Mi sembrava di leggere il menù di un ristorante. Primo, secondo e
dolce. Poi nella stanza entrò la Patania, la neo mamma. Arrivò nel
nostro ufficio come se non fosse passato neanche un giorno da quando
se n'era andata. Cripto e Casco le strinsero la mano e le fecero gli
auguri, io invece rimasi seduto. La Patania ci disse che aveva partorito
una bambina e l'aveva allattata per tre mesi: ora era il momento di
tornare al lavoro. Poi notò i mandati sulla scrivania.
«Chi arrestate oggi?»
«Amici di amici, come al solito» risposi.
«Ci lasciate soli?» chiese a Cripto e Casco, e loro uscirono.
Lei era in piedi. Io sempre seduto.
«Non ci siamo mai presi noi due, vero?» Ecco che ricominciava. Che
minchia voleva da me?